TIMIDEZZA: LA PAURA DEL GIUDIZIO BLOCCA

Scritto dalla Dott.ssa Annalisa Barbier

 

La FOBIA SOCIALE viene definita, nel Manuale Statistico e Diagnostico dei disturbi mentali (DSM-IV), come “una marcata e persistente paura di trovarsi in situazioni o di compiere delle prestazioni pubbliche, dove l’individuo può provare imbarazzo”.

L’elemento centrale nella diagnosi di questo disturbo è la presenza di una invalidante paura del giudizio negativo altrui per cui il soggetto, nel forte timore di esporsi a tale giudizio, evita le situazioni in cui deve svolgere un compito davanti ad altre persone. Questo timore tende a generalizzarsi con il tempo, arrivando a riguardare la maggior parte delle situazioni sociali.

 

I soggetti che soffrono di questo disturbo sono particolarmente preoccupati non soltanto di esporsi ad un giudizio negativo, ma anche di mostrare imbarazzo a causa di ciò, sviluppando l’ulteriore apprensione di essere giudicati ansiosi, deboli, strani o stupidi. Quando si trovano ad affrontare una situazione sociale perciò, queste persone hanno paura di mostrare comportamenti considerati inaccettabili, e conseguentemente temono che verranno rifiutati ed umiliati a causa di ciò.

 

I TIMORI PIU FREQUENTI     

Paura di mostrare imbarazzo

Paura di mangiare in pubblico

Paura di non riuscire ad articolare le parole

Paura di risultare sciocchi o inadeguati

Paura di mostrarsi deboli o ansiosi

Paura di dire sciocchezze

Paura di fare male qualcosa pubblicamente (davanti ad amici o colleghi)

…ecc…

 

IL MODELLO COGNITIVO DELLA FOBIA SOCIALE

La psicologia cognitivo comportamentale attribuisce una fondamentale importanza – sia nella nascita che nel mantenimento dei disturbi psicologici - sia al modo in cui vengono soggettivamente interpretati gli eventi che al ruolo dell’EVITAMENTO delle situazioni temute, che impedisce al soggetto di fornire chiare smentite a molte delle sue paure. I circoli viziosi infatti sono i responsabili del mantenimento del problema (figura 1). Nel caso  della fobia sociale, possiamo identificare tre elementi che ne costituiscono le caratteristiche:

1)       Il forte desiderio di dare una buona immagine di sé e di ricevere giudizio positivo dagli altri

2)      Una grande insicurezza circa le proprie capacità di riuscita

3)      L’evitamento (comune a molti disturbi dello spettro ansioso) delle situazioni considerate pericolose, che impedisce di smentire le proprie paure

 

Sono proprio questi elementi ad indurre il soggetto affetto a sentirsi particolarmente preoccupato e spaventato dal giudizio altrui. Quando i fobici sociali si trovano ad affrontare una situazione percepita come potenzialmente pericolosa (sulla base delle loro convinzioni), ad esempio mangiare o parlare in pubblico, hanno paura di compiere errori grossolani, di agire in maniera inadeguata, ridicola o inaccettabile, esponendosi al giudizio negativo e temendo, in ultima istanza, di essere rifiutati o umiliati. Il ruolo delle CONVINZIONI personali è fondamentale: in base a queste il soggetto fobico sociale tende ad interpretare gli eventi come pericolosi e ad attivarsi. Il fobico sociale ha una PERCEZIONE DISTORTA di sé, degli eventi e del giudizio degli altri (che viene sempre dato per scontato come negativo, derisorio e svalutante), e tende ad interpretare tutto nell’ambito di questa convinzione di fondo.

 

Queste paure non riguardano solamente il giudizio degli altri ma compromettono anche l’opinione e la percezione che il soggetto stesso ha di sé. La paura del giudizio negativo, attivando tutta una serie di timori relativi all’amabilità ed alla accettazione sociale, ed al valore intrinseco di sé, dà luogo una percezione di pericolo che a sua volta innesca i meccanismi cognitivi, emotivi e comportamentali dell’ansia.

 

I fobici sociali sono quindi estremamente concentrati a cogliere tutti quegli indicatori di minaccia al proprio valore: come vengono guardati, cosa potrebbero pensare gli altri, il modo in cui si muovono  o parlano, come reagiscono alle loro parole o azioni, ma soprattutto sono eccessivamente concentrati sulle loro risposte somatiche interne (se il cuore batte più forte, se compare mal di stomaco, se percepiscono un pur lieve tremore delle mani ecc…).

 

Questo progressivo aumento dell’attenzione selettiva verso elementi e dettagli marginali, rende sempre più difficile svolgere con efficacia la propria attività e riduce di molto la consapevolezza oggettiva: è come se il soggetto guardasse gli eventi e se stesso attraverso un cannocchiale, sviluppando una visione focalizzata e limitata della situazione generale.

 

Possono fare la loro comparsa sintomi come tachicardia, vertigini, senso di nausea, difficoltà respiratorie, tremori, blocco del pensiero (il soggetto “non riesce a pensare”), disturbi intestinali, rossore del volto ecc. La persona coinvolta sperimenta la sensazione di non poter padroneggiare la situazione, né se stesso nella situazione. Queste manifestazioni quindi rappresentano un’ulteriore minaccia al senso di sé e della propria efficacia: da una parte inducono l’escalation dell’ansia mentre dall’altra partecipano al mantenimento del problema (confermando indirettamente i timori del soggetto).

 

A complicare la situazione compaiono i cosiddetti  COMPORTAMENTI PROTETTIVI (Wells et al., 1995), e cioè tutti quei comportamenti che hanno la funzione di controbilanciare un timore: ad esempio, se si ha paura di far cadere una tazza la si comincia a tenere così saldamente da impedire i movimenti naturali (risultando quindi impacciati ed aumentando il senso di inadeguatezza), oppure per non sbagliare, si ripete mentalmente cosa si deve dire al punto da rendere difficile condurre una conversazione spontanea e fluida (confermando i propri timori di incapacità e inadeguatezza). Queste strategia non solo rischiano di rendere le situazioni davvero imbarazzanti, ma impediscono al soggetti di verificare le loro reali capacità poiché questi pensano che, se tutto è filato liscio, è stato solo grazie ai loro comportamenti protettivi.

 

Uno dei modelli maggiormente efficaci nell’esporre le origini di questo disturbo e le ragioni che lo mantengono attivo, è quello di Clark e Wells (1995; 1997).

 

Esso mostra cosa accade quando il soggetto fobico sociale si trova in una situazione pubblica: 1) la situazione ATTIVA LE CONVINZIONI relative al fallimento e alla propria incapacità E LE IMPLICAZIONI di eventuali sintomi somatici; 2) l’individuo quindi PERCEPISCE la situazione come UN PERICOLO; 3) si attivano le preoccupazioni anticipatorie su cosa potrà succedere ed i pensieri automatici negativi (PAN) relativi (es. se  mi tremano le mani la gente penserà che sono troppo fragile o malato; se sudo penseranno che non sono normale; e se divento ansioso? La gente crederà che sia malato; e se perdo il controllo? Non mi prenderanno sul serio. E così via). Tali PAN sono in grado di provocare una attivazione di tipo ansioso che a sua volta stimola nel soggetto considerazioni negative sullo scarso valore personale, fallimento e umiliazione.

Gli eventuali comportamenti protettivi messi in atto non faranno che contribuire al problema, poiché non solo ostacolano una verifica oggettiva delle proprie capacità, ma aumentano i sintomi temuti (sudare, impaccio motorio, blocco del pensiero ecc) e accentuano la focalizzazione solo su di sé, aumentando l’ansia e rendendo impossibile vedere cosa REALMENTE fanno o dicono gli altri nei nostri confronti.

 

La terapia Cognitivo comportamentale è uno degli standard sdi elezione per il  trattamento della fobia sociale: in grado di modificare stabilmente le convinzioni, le interpretazioni ed i comportamenti responsabili della nascita e del mantenimento del disturbo.

 

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Un modello cognitivo di fobia sociale
Un modello cognitivo di fobia sociale

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Commenti: 5
  • #1

    anonimo (lunedì, 09 settembre 2013 21:03)

    complimenti dottoressa, sono affetto da questo problema e l'ha descritto alla perfezione. Credevo che fosse una branchia della psicologia ancora poco conosciuta.

  • #2

    anonimo (lunedì, 09 settembre 2013 21:19)

    scusi branca..ecco una chiara manifestazione di paura del giudizio

  • #3

    Annalisa Barbier (martedì, 10 settembre 2013 12:30)

    Gentile lettore/lettrice, sono molto lieta che abbia trovato utile ed interessante il mio articolo. In realtà lavoriamo molto anche su questo tipo di problematica, per aiutare le persone a recuperare fiducia in se stesse e a vivere una vita più gratificante e serena.
    Un affettuoso saluto
    AB

  • #4

    Andrea (giovedì, 21 maggio 2015 14:57)

    Trovo molto interessanti gli articoli di questo sito. E' passato più di un anno da quando ho riscontrato questo problema insieme ad un disturbo ossessivo compulsivo per paura di essere omosessuale. La consapevolezza di questi processi è un passo necessario per riuscire a riappropriarsi della propria vita. Uno dei problemi che mi ha colpito maggiormente era collegato con il pensiero molto frequente di dover OBBLIGATORIAMENTE guardare negli occhi una persona. E' stata dura districare tutta la matassa dei problemi e devo molto a siti come questo.

  • #5

    Annalisa Barbier (giovedì, 21 maggio 2015 15:16)

    Gentile Andrea,
    la ringrazio molto per la sua testimonianza e per l'interessamento al mio articolo.
    Spero che le sue parole incoraggeranno anche altri che, come lei, si trovano ad affrontare queste difficoltà, ad uscirne e recuperare la serenità.
    Un caro saluto
    AB