Dall'ecoismo al narcisismo: quando sentirsi speciali è importante

INTRODUZIONE

L’amor di Sé è stato spesso al centro delle riflessioni filosofiche in occidente e in oriente, e le diverse dottrine filosofiche si sono trovate in contrapposizione in merito alla considerazione se l’amor proprio fosse un fatto da considerarsi positivo o negativo.

Aristotele nel 350 a.C. si chiedeva: “chi deve amare di più l’uomo buono? Se stesso o gli altri?” rispondendo che “L’uomo buono è particolarmente egoista”…Due secoli più tardi in India il pensiero filosofico sviluppava una concezione completamente opposta, in cui si affermava l’illusorietà del Sé e la conseguente inutilità dell’attribuirvi importanza. Più tardi ancora, il pensiero Cristiano aggiungeva un elemento decisivo alla considerazione della stima di sé e all’amor proprio: il senso del PECCATO. Introdusse dunque il peccato di superbia per chi si stima troppo; la nostra cultura è in grande parte figlia di quel pensiero e ancora oggi è molto facile associare una sana autostima al peccato di superbia (“laus propria sordet” * cita il vecchio adagio…). In questo contesto non è facile definire se – ed in quale misura –l’amore di sé sia un elemento auspicabile e sano, o sia invece causa di superbia e di un egoismo malsano e pericoloso. Nel 1914 Freud rese famoso Narcisismo in un saggio dal titolo “Introduzione al narcisismo” ma la sua posizione nei confronti di questo rimase sempre duale: da una parte lo considerava un’istanza infantile da superare in età adulta, dall’altra ne stimava – negli individui adulti – il valore costruttivo e creativo. Tra gli anni Quaranta e gli anni Ottanta due grandi studiosi si occuparono di definire il Narcisismo, Otto Kernberg e Heinz Kohut, che in seguito ai loro studi raggiunsero conclusioni molto diverse.

KERNBERG E IL NARCISISMO MALIGNO

Kernberg considerava il narcisista come una manifestazione del male nel mondo. Caratterizzato da una spinta particolarmente forte all’invidia e alla distruzione dell’altro in quanto fonte di frustrazione, il suo narcisista era particolarmente aggressivo, privo di empatia, carico di invidia e rabbia e pronto ad usare gli altri come strumenti per raggiungere i suoi obiettivi. Il senso morale in questi individui pareva del tutto assente, similmente alle personalità psicopatiche.


KOHUT E IL NARCISISMO SANO

Kohut fondò negli anni Settanta la Psicologia del Sé che si occupava d studiare come le persone, nel corso delle loro vita, potessero sviluppare o meno un sano senso del Sé, attraverso le relazioni con l’altro. La posizione di Kohut era molto diversa da quella di Kernberg poiché egli era convinto che la presenza di una certa quota di narcisismo non solo non fosse patologica, ma addirittura si rendesse necessaria per un sano sviluppo del Sé e della personalità, per la realizzazione delle proprie attitudini e per la costruzione di una solida autostima. Solo chi fosse stato in grado di amare se stesso e avere buona stima di sé sarebbe stato capace di relazioni sane con l’altro.


Dall'ecoismo al narcisismo: un continuum

Recentemente, lo psicologo americano Craig Malkin, in seguito alla sua esperienza clinica e scientifica, ha ipotizzato l’utilità di collocare i disturbi narcisistici lungo un continuum, alle estremità del quale ha posto due aspetti estremi della percezione del valore di sé: ecoismo e narcisismo estremo o “maligno”. Con il termine “ecoismo” (dal nome della ninfa Eco, tristemente nota per il ruolo giocato nel mito di Narciso), egli si riferisce alla tendenza da parte del soggetto, a dare poco valore al proprio sé, percependosi come poco amabile e di poco valore; questi individui non legittimano i propri bisogni e le proprie aspirazioni e parallelamente sono interamente concentrati sui bisogni degli altri e sul soddisfacimento delle altrui aspettative. Tendenzialmente remissivi e dipendenti dagli altri, gli ecoisti sembrano rispondere ad un diktat interno che suona più o meno così: “Non sognare in grande. Non sentirti speciale. Pensa prima agli altri. Non avere bisogni perché i tuoi bisogni e le tue richieste allontaneranno gli altri”.

Al polo opposto, egli colloca i soggetti affetti da disturbo narcisistico della personalità così come viene considerato nel DSM -V: individui anaffettivi, profondamente convinti di essere assolutamente speciali e di meritare trattamenti di favore, invidiosi ed aggressivi, che sfruttano l’altro per ottenere ciò che vogliono. Il narcisista dipende in maniera assoluta dal bisogno di sentirsi e mostrarsi speciale, perfetto, il migliore; dipende dalla ammirazione degli altri per sentirsi bene e per percepire il proprio valore personale.

Entrambi i rappresentanti delle due posizioni estreme quindi dipendono dall’accettazione e dall’ammirazione dell’altro:

1)    l’ecoista dipende dall’altro per ottenere amore ed accettazione e lo fa negando e respingendo i propri bisogni, e mettendo al primo posto quelli dell’altro: io esisto per te

2)    Il narcisista ha bisogno dell’altro in quanto specchio dell’immagine speciale e perfetta che vuole avere di sé e strumento della sua ambizione: tu esisti per me

 

Tra questi due estremi, si collocano i soggetti che mostrano tratti via via meno patologici delle due forme, fino ad arrivare al centro di questa ipotetica linea: qui troviamo coloro che hanno sviluppato un livello sano ed equilibrato di autostima e senso del proprio valore personale. Questo permette loro di realizzare con impegno i propri obiettivi coinvolgendo altri nei loro progetti, di  affrontare le sconfitte imparando dai propri errori  continuando ad impegnarsi senza colpevolizzare gli altri, di vivere relazioni equilibrate in cui dipendenza ed autonomia si alternano con saggezza. Persone insomma capaci di “sentirsi speciali” ma che non dipendono da questo per percepire il loro valore. 

CONCLUSIONI

In questo contesto, la capacità di sentirsi speciali e unici, di sentirsi  capaci di coltivare e realizzare i propri sogni e desideri legittimando i propri bisogni, rappresentano abilità fondamentali per una crescita ed una evoluzione sana. Queste abilità permettono ad ogni individuo di trovare la propria strada senza negare i propri bisogni, di realizzare i propri sogni senza calpestare gli altri anzi coinvolgendoli nei propri progetti, di coltivare relazioni interpersonali equilibrate e sane, in cui è proprio la percezione del proprio valore come unico e speciale che permette di rispettare il valore dell’altro senza scivolare nella dipendenza o nella strumentalizzazione.

Sentirsi “speciali” dunque, deve essere sdoganata come una forma di amore di sé sano e funzionale; il più potente strumento per realizzare quel difficile equilibrio tra dipendenza e autonomia, tra negazione e sopravvalutazione dei propri bisogni e desideri, tra desiderio di appartenenza ed accettazione e spinta all’autodeterminazione.

La nostra cultura attuale purtroppo, non ancora abituata a considerare la forte autostima come una forma auspicabile ed equilibrata di considerazione di sé, si pone in maniera schizofrenica nei suoi confronti, scivolando continuamente tra due estremi: da una parte vale la vecchia affermazione - punitiva e colpevolizzante -  del “chi si loda si imbroda”  e dall’altra prende sempre più piede la mitizzazione di un individualismo sfrenato e di una cultura del piacere assoluto che strumentalizza l’altro e lo sottomette ai proprio bisogni.

Ma, come sempre, la saggezza sta nel mezzo…

 

*  “chi si loda s’imbroda”

 

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