NEUROBIOLOGIA DELLA DIPENDENZA AFFETTIVA

 

La dipendenza affettiva può essere concettualizzata come una forma di dipendenza comportamentale centrata sulla relazione. In una prospettiva neurobioloigca, l’individuo non diventa dipendente da una sostanza, bensì da uno stato emotivo e neurochimico legato alle fasi iniziali dell’innamoramento, caratterizzate da intensa eccitazione, passione e gratificazione.

Studi neuroscientifici hanno evidenziato come tali meccanismi siano sovrapponibili ai processi alla base delle dipendenze da sostanza (Volkow & Morales, 2015).

 

Meccanismi neurochimici

Nelle prime fasi dell’innamoramento si osserva una forte attivazione del sistema dopaminergico mesolimbico, che sostiene il desiderio, la motivazione e il rinforzo comportamentale (Aron et al., 2005; Acevedo et al., 2012). Successivamente, entrano in gioco altri sistemi neurochimici quali:

  • serotonina, che contribuisce alla regolazione dell’umore e alla stabilità emotiva;
  • ossitocina e vasopressina, implicate nel consolidamento del legame, nella fiducia e nella costruzione dell’attaccamento diadico (Young & Wang, 2004; Feldman, 2017).

La transizione dai circuiti dell’euforia a quelli della stabilità rappresenta un passaggio fondamentale nella costruzione di relazioni durature.

 

PEA: più un mito che una realtà?

La feniletilamina (PEA) è spesso definita la “molecola dell’amore”, ma le evidenze scientifiche a supporto di un suo ruolo diretto nell’innamoramento umano sono deboli o assenti. Una recente revisione sistematica (McGregor & Murphy, 2023) sottolinea che l’associazione fra PEA e amore romantico appartiene più al mito divulgativo che alla letteratura empirica. I veri mediatori neurochimici dell’amore restano dopamina, ossitocina, vasopressina e oppioidi endogeni.

 

Amore e dipendenza comportamentale

Il coinvolgimento intenso e ossessivo tipico della dipendenza affettiva presenta molte analogie con i criteri diagnostici indicati per le dipendenze comportamentali:

  • craving: desiderio irrefrenabile di contatto con la persona amata
  • tolleranza: necessità di stimoli sempre maggiori per provare la stessa euforia
  • astinenza: sofferenza psicofisica alla separazione
  • ricaduta: ricerca compulsiva del partner nonostante la consapevolezza delle possibili o già note conseguenze negative.

Queste dinamiche sono state documentate in studi di neuroimaging che mostrano l’attivazione di aree cerebrali simili a quelle osservate nelle dipendenze da sostanza, come lo striatum ventrale e la corteccia prefrontale (Fisher, Aron & Brown, 2006; Xu et al., 2011).

 

Profili temperamentali e predisposizione

L’antropologa Helen Fisher (2009; Fisher et al., 2010) ha proposto un modello secondo cui i sistemi neurochimici dominanti predispongono a specifiche modalità relazionali e vulnerabilità affettive:

  • Esploratori (dopamina–noradrenalina): energici, impulsivi, in cerca di novità. Predisposti a innamoramenti rapidi e frequenti e ad avere relazioni volatili ed instabili.
  • Costruttori (serotonina): regolati, pianificatori, orientati alla sicurezza. Vulnerabili a forme di dipendenza da attaccamento e proteste ansiose.
  • Direttori (testosterone): analitici, dominanti, meno empatici. Possono reagire con rabbia intensa o comportamenti distruttivi di fronte al rifiuto.
  • Negoziatori (estrogeni/ossitocina): empatici, relazionali, cooperativi. Maggior rischio di depressione o elaborazione ossessiva dopo un abbandono.

Sebbene semplificativo, questo modello ha ricevuto alcuni riscontri empirici in studi cross-culturali (Brown et al., 2013; Marazziti & Canale, 2004).

 

Attaccamento ed esperienze infantili

Accanto alla componente neurobiologica, ricordiamo quanto le esperienze precoci di attaccamento giochino un ruolo cruciale; secondo la teoria di Bowlby (1988), la qualità delle relazioni infantili, infatti, è in grado di plasmare la costruzione degli stili di attaccamento che rappresentano l’impalcatura generale del nostro modo di vivere le relazioni interpersonali,  influenzando in età adulta la capacità di regolare le emozioni e di costruire legami sani.

Gli schemi maladattivi precoci descritti da Young e Klosko (1994) contribuiscono ulteriormente a spiegare la vulnerabilità alla dipendenza affettiva. Si tratta  di modelli profondamente radicati costituiti da pensieri, emozioni e comportamenti che si sviluppano nella prima infanzia a partire da esperienze relazionali dolorose con le figure di accudimento. Questi schemi diventano vere e proprie “lenti” attraverso cui la persona interpreta se stessa, gli altri e le relazioni, e tendono a ripetersi in età adulta, anche quando non sono più funzionali.

Nel contesto della dipendenza affettiva, alcuni schemi risultano particolarmente rilevanti:

  • Abbandono/Instabilità: la convinzione che le figure significative possano non essere disponibili, stabili o affidabili. Nelle relazioni adulte questo si traduce in forte paura di essere lasciati, ipervigilanza e ricerca continua di rassicurazioni
  • Deprivazione emotiva: la sensazione che i propri bisogni emotivi non verranno mai soddisfatti. La persona può restare intrappolata in relazioni asimmetriche o sbilanciate, pur di ottenere briciole di attenzione
  • Sottomissione: la tendenza a sacrificare i propri bisogni per compiacere l’altro, nel timore del rifiuto o della punizione. Questo schema alimenta la perdita di sé all’interno della relazione
  • Dipendenza/Incompetenza: la percezione di non essere in grado di affrontare la vita da soli. La relazione diventa così un appiglio indispensabile, al punto da generare panico e senso di vuoto di fronte a separazioni o conflitti
  • Inadeguatezza/Vergogna: la sensazione profonda di non essere degni di amore. Può condurre a tollerare relazioni svalutanti o abusive, nella convinzione di non meritare di meglio.

Questi schemi, attivati all’interno delle dinamiche di coppia, possono rendere la persona vulnerabile alla dipendenza, poiché rinforzano dei circoli viziosi che si autorinforzano: più la relazione è instabile o dolorosa, più lo schema viene confermato, aumentando il bisogno di attaccarsi all’altro e riducendo la capacità di svincolarsene.

Lavorare sugli schemi maladattivi, attraverso approcci come la Schema Therapy (Young et al., 2003) o interventi integrati che includano Mindfulness e self-compassion,  permette di riconoscere queste dinamiche, differenziarle dall’esperienza del qui ed ora, e sperimentare modalità di essere nelle relazioni che siano più sane, sicure e gratificanti.

 

Prospettive attuali

Le ricerche più recenti invitano a una visione multifattoriale della dipendenza affettiva:

  • neurobiologica, attraverso il coinvolgimento dei sistemi dopaminergici, ossitocinergici e oppioidergici
  • psicologica, legata agli stili di attaccamento e agli schemi cognitivi disfunzionali
  • sociale e culturale, con modelli di relazione culturalmente trasmessi, che possono rinforzare le dinamiche di dipendenza.

Un approccio integrato consente quindi di comprendere la complessità del fenomeno e di orientare al meglio gli interventi clinici.

 

Bibliografia 

  • Acevedo, B. P., Aron, A., Fisher, H. E., & Brown, L. L. (2012). Neural correlates of long-term intense romantic love. Social Cognitive and Affective Neuroscience, 7(2), 145–159.
  • Aron, A., Fisher, H., Mashek, D. J., Strong, G., Li, H., & Brown, L. L. (2005). Reward, motivation, and emotion systems associated with early-stage intense romantic love. Journal of Neurophysiology, 94(1), 327–337.
  • Bowlby, J. (1988). Una base sicura. Milano: Raffaello Cortina.
  • Brown, L. L., Acevedo, B. P., Fisher, H. E., & Aron, A. (2013). Neural correlates of four broad temperament dimensions: Testing predictions for a novel neurobiological model of personality. Journal of Neuroscience, Psychology, and Economics, 6(2), 87–103.
  • Feldman, R. (2017). The neurobiology of human attachments. Trends in Cognitive Sciences, 21(2), 80–99.
  • Fisher, H. (2009). Why him? Why her?. New York: Holt Paperbacks.
  • Fisher, H. E., Aron, A., & Brown, L. L. (2006). Romantic love: A mammalian brain system for mate choice. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, 361(1476), 2173–2186.
  • McGregor, I., & Murphy, J. (2023). There is no love molecule: No evidence that phenylethylamine is directly involved in romantic love. Preprints, 2023070336.
  • Rafaeli, E., Bernstein, D. P., & Young, J. E. (2011). Schema Therapy: Distinctive Features. London: Routledge.
  • Volkow, N. D., & Morales, M. (2015). The brain on drugs: From reward to addiction. Cell, 162(4), 712–725.
  • Xu, X., Aron, A., Brown, L., Cao, G., Feng, T., & Weng, X. (2011). Reward and motivation systems: A brain mapping study of early-stage intense romantic love in Chinese participants. Human Brain Mapping, 32(2), 249–257.
  • Young, J. E., & Klosko, J. S. (1994). Reinventa la tua vita. Milano: Ponte alle Grazie.
  • Young, L. J., & Wang, Z. (2004). The neurobiology of pair bonding. Nature Neuroscience, 7(10), 1048–1054.