GLOSSARIO 

  • DISTURBI AFFETTIVI STAGIONALI: sono alterazioni del tono dell'umore e del comportamento che compaiono ai cambi di stagione, in particolar modo a partire dall'autunno. Ne sono colpiti oltre tre milioni di italiani, soprattutto donne fra i 20 e i 40 anni. All'origine di questi disturbi sono fattori legati al cambiamento dei cicli luce-buio, in particolare alla  riduzione delle ore di luce, che influenza la produzione di neurotrasmettitori come la serotonina e di ormoni quali la melatonina, alterando i normali ritmi biologici. Le caratteristiche del disturbo sono le seguenti:

    - Corrispondenza tra la comparsa dei sintomi e particolari periodi dell’anno; 
    - Attenuazione o remissione completa del disturbo in periodi dell’anno altrettanto precisi; 
    - Cambiamento stagionale delle abitudini alimentari: aumento dell’appetito con forte desiderio di carboidrati, dolci, caffeina, e conseguente aumento di peso; 
    - Facile irritabilità, pigrizia, malinconia, difficoltà nei rapporti interpersonali e sul lavoro; 
    - Calo del desiderio sessuale; 
    - Insonnia o, al contrario, ipersonnia (tendenza/desiderio di dormire molte ore anche durante il giorno)

  • DISREGOLAZIONE EMOTIVA: con questo termine si indica la difficoltà nel gestire o elaborare efficacemente le emozioni. Si può manifestare attraverso una eccessiva ed incontrollata intensificazione delle emozioni (scoppi di ria o perdita di controllo) oppure attraverso una esclusione e "disattivazione" delle stesse, che porta ad una sorta di appiattimento emotivo e scarsa manifestazione emozionale
  • DEPERSONALIZZAZIONE: Alterazione psichica per la quale si perde il senso della propria identità e si sente come estraneo il proprio corpo (Diz. Hoepli), presente del Disturbo Dissociativo. La persona presenta un’alterazione grave e perturbante della percezione o dell’esperienza di sé per cui prova un improvviso senso di distacco o di estraneità a se stesso: gli arti possono apparire di forma drasticamente diversa dal solito, oppure può avere l’impressione di essere fuori dal proprio corpo, come se si vedesse dall'esterno, oppure ha l’impressione di muoversi in un sogno.
  • DEREALIZZAZIONE: È un malessere psichico per cui si perde contatto con la propria realtà ambientale, che viene vissuta come fittizia. La persona affetta ha  l’impressione di muoversi  come in un sogno. Esperienza in cui il soggetto percepisce come estraneo l'ambiente che lo circonda: può avvertire la sensazione che il mondo sia “strano” o irreale,  di vivere un sogno, di sentirsi tagliato fuori dal mondo o di percepirlo come attraverso una ecc.
  • DISTURBO DI PERSONALITÀ': In psichiatria e psicologia clinica, un disturbo di personalità indica manifestazioni di pensiero e di comportamento disadattivi che si manifestano in modo pervasivo (non limitato a uno o pochi contesti), inflessibile e apparentemente permanente, coinvolgendo la sfera cognitiva, affettiva, interpersonale ecc. della personalità dell'individuo colpito. Si parla di disturbo nel momento in cui tale manifestazione sintomatologica causa disagio clinicamente significativo.
  • COMPULSIONI: Le compulsioni possono essere definite "covert" ossia atti mentali, come il contare, pregare, ripetere parole ecc. o "overt" , cioè comportamenti qiali il ripetuto controllare, pulire, ordinare che hanno carattere di ripetitività,  e vengono messi in atto in risposta ad un’ossessione secondo regole precise, allo scopo di neutralizzare e/o di prevenire un disagio e una situazione temuta. Le compulsioni fanno parte dei tentativi di soluzione che il paziente mette in atto per prevenire o neutralizzare la minaccia rappresentata dalle idee ossessive.
  • OSSESSIONI: sono idee, pensieri, impulsi o immagini che insorgono improvvisamente nella mente del soggetto e che vengono percepiti come intrusivi, fastidiosi e privi di senso. Le ossessioni occupano la mente del soggetto procurandogli disagio e possono essere ricorrenti quando si ripresentano alla mente con frequenza e/o persistenza, ovvero quando occupano la mente in modo continuo e estremamente fastidioso,  compromettendo la qualità della vita della persona affetta.
  • RELAZIONE FUSIONALE: è una relazione in cui sono andati perduti i reciproci confini personali ed in cui entrambi i partner si comportano come se fossero "una sola cosa": fanno tutti insieme, non si allontanano mai l'uno dall'altro, necessitano della presenza reciproca peer svolgere qualsiasi attività, hanno bisogno assoluto l'uno dell'altro. Prevale una sorta di auto e reciproca limitazione di tempi e attività esterne. Si tratta di una relazione disfunzionale in quanto limita grandemente la possibilità di crescita ed individuazione dei soggetti che ne fanno parte.
  • STILE DI ATTACCAMENTO: In psicologia, l’attaccamento definisce un sistema complesso e dinamico di comportamenti ed emozioni che contribuiscono alla costruzione ed alla caratterizzazione di un legame specifico fra due persone. Fu Bowlby a studiare l’attaccamento, definendone caratteristiche, origine, funzione ed esiti nella sua Teoria dell’Attaccamento. Le radici profonde dell'attaccamento  risalgono alla costruzione delle relazioni primarie che il bambino stabilisce con le figure di riferimento e di accudimento (ad esempio, la madre) nei primissimi anni della sua vita, e caratterizzeranno in futuro tutte le relazioni intime che sperimenterà da adulto.
  • Il SENSATION SEEKING secondo Zuckerman (1994) è “un tratto definito dalla ricerca di comportamenti a rischio, sensazioni ed esperienze varie e intense, e dalla disponibilità a correre rischi fisici, sociali, legali e finanziari, per il piacere di tali situazioni”, che raggiunge la sua massima espressione nel periodo giovanile coinvolgendo ragazzi di età sempre minore (Boyer, 2006; Macrì, Canicattì, Duetti, Pizzo, Filipponi & Galeazzi, 2011).

 

IL SENSO DI VUOTO

Immagine creata da IA
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Scritto da Annalisa Barbier 

 

Quello che definiamo genericamente con il termine “senso di vuoto” è un’esperienza psicologica profonda, diffusa e complessa che tutti prima o poi abbiamo sperimentato nella nostra vita, spesso in momenti per noi particolarmente difficili. Si manifesta come la percezione di un’assenza interiore, di una inquietante mancanza di significato, o come una forma profonda di disconnessione da sé, dagli altri, dal mondo e dai suoi significati, dalle sue aspettative. È una condizione esistenziale che può affiorare in momenti di crisi come perdite, cambiamenti, periodi particolarmente stressanti e che, in alcuni casi, può cronicizzarsi fino a diventare una tonalità affettiva stabile che caratterizza la vita psichica dell’individuo. In questo  articolo proverò ad esplorare sinteticamente il concetto di  “senso di vuoto” dal punto di vista psicologico e psicopatologico.

Senso di vuoto e psicologia

Innanzitutto è utile ricordare che percepire occasionalmente un senso di vuoto, in ambito psicologico non è necessariamente da considerarsi il sintomo indicativo di una patologia o di un disturbo specifico; il senso di vuoto infatti può comparire come una percezione  - cognitiva, emotiva e anche somatica - naturale in alcuni momenti di vita caratterizzati da cambiamenti, perdite o processi di crescita interiore. Dal punto di vista squisitamente clinico invece, il senso di vuoto è un sintomo trasversale, che può presentarsi in in numerose condizioni psicopatologiche; esso tuttavia, assume connotazioni specifiche a seconda del contesto diagnostico e della struttura di personalità della persona che lo sperimenta. 

Il senso di vuoto costruttivo: lo spazio fertile di transizione

Quella di sentirsi “vuoti” è un’esperienza che spesso consideriamo spiacevole, spaventosa o dolorosa e tendiamo ad etichettarla immediatamente come “negativa” o “sbagliata”, e facilmente ci diciamo: “non devo sentirmi così, c’è qualcosa di sbagliato in me se mi sento così!”. Tuttavia, è importante comprendere che a volte quel senso di vuoto, che tipicamente si manifesta come sensazione somatica localizzata nella pancia o nel petto, in realtà rappresenta una specie di porta, di passaggio obbligato nella transizione verso qualcosa di nuovo.

Ci sono diversi momenti nella vita in cui le cose cambiano, e cambiano profondamente: ad esempio durante l’adolescenza, caratterizzata dai suoi profondi cambiamenti ormonali e corporei e dalla spinta a strutturare e ridefinire la propria identità individuale e sociale; quando si diventa genitori, ed è necessario ridefinire molti dei precedenti aspetti identitari (individuali, sociali, professionali, di coppia) per costruire un nuovo modo di stare nella vita che includa anche il ruolo genitoriale; quando finisce una relazione amorosa importante, lasciando un “senso di vuoto” spesso percepito come incolmabile (ma transitorio), in cui dobbiamo lasciar andare tutti quegli aspetti così importanti della nostra vita, che appartenevano alla coppia e al nostro rapporto con l’altro; quando cambiamo o perdiamo un lavoro che per molti anni ha fatto parte e ha organizzato il ritmo della nostra vita; a seguito di un evento luttuoso, di una perdita o di un grave problema di salute, eventi che ci spiazzano, ci disorientano, e necessitano di tempo affinché possiamo accoglierli ed elaborare il profondo cambiamento che ci portano ad attraversare.

Non sempre dunque il senso di vuoto rappresenta un indicatore patologico; in alcuni casi può costituire un’esperienza fisiologica transitoria, collegata a specifiche fasi del ciclo di vita o a momenti critici di riorganizzazione esistenziale. In queste circostanze, il vuoto non segnala una disfunzione, ma una sospensione del noto, un periodo di transizione in cui vecchie identità, ruoli o riferimenti interiori si sono dissolti, mentre nuovi significati devono ancora emergere.

In questi momenti è normale sentirci persi, disorientati e spaventati, come se il terreno sotto i piedi non fosse più solido: le vecchie certezze crollano, i precedenti punti di riferimento che avevamo dato per scontati improvvisamente svaniscono o non sono più adeguati, e ci ritroviamo in un limbo, in uno spazio indefinito che percepiamo come un  VUOTO. Ma questo vuoto, per quanto doloroso, non è necessariamente un nemico;  può essere invece un alleato prezioso. Lo potremmo coraggiosamente definire un "vuoto fertile", uno spazio interiore aperto e creativo, una sorta di “brodo primordiale” in cui l’assenza dei precedenti punti di riferimento ci permette di essere pronti e disponibili a che nascano e prendano vita gradualmente nuovi significati, nuovi aspetti identitari e nuove possibilità.

In questi casi, può essere davvero fruttuoso, invece di cercare disperatamente di riempire in ogni modo questo “vuoto” con qualcosa di esterno, con comportamenti compulsivi disordinati o ricercando distrazioni per non sentirlo, darci l’opportunità di abitare il vuoto, di osservarlo, di restare pazientemente in attesa che al suo interno germogli qualcosa di nuovo.  Ascoltiamo dunque cosa ha da dirci, osserviamo con pazienza e senza giudicare cosa emerge, impegniamoci ad accogliere questa sensazione di incertezza e di indeterminatezza, che pure fa parte della nostra esperienza umana, e che può dirci molte cose.

Come psicologa il mio compito è anche questo: accompagnare le persone in questo viaggio attraverso il vuoto, senza giudizio, senza fretta, imparando a tollerare il disagio che inevitabilmente può evocare in noi.  Aiutandole a riconoscere che questa sensazione non è necessariamente un sintomo da "curare" o di cui sbarazzarci, ma piuttosto un processo naturale di trasformazione, e di richiesta di attenzione interiore, importante e necessario. Attraverso strumenti come la mindfulness, l'esplorazione narrativa, o semplicemente la presenza quieta e accogliente e l'ascolto empatico, possiamo imparare ad attraversare il vuoto senza patologizzarlo, fidandoci della nostra innata capacità di ricostruire un senso, una direzione, un'identità più autentica e consapevole, un nuovo modo di dare significato alla nostra esistenza nel qui ed ora. La tradizione alchemica parla di opera al nero: quella fase iniziale e propedeutica per qualsiasi successivo lavoro interiore che ci porta a “morire a noi stessi” (metaforicamente), affinché qualcosa di nuovo possa nascere dal buio delle profondità della terra psichica.

Ricordiamo che molto spesso ciò che impedisce alle nostre risorse innate di agire, curare, correggere, proporre, attraversare, sono la paura (comprensibile) e la conseguente risposta automatica di avversione ed evitamento, comune nei confronti di alcune esperienze per noi difficili o considerate “sbagliate” o “pericolose”. Imparare ad “abitare” questa sensazione rappresenta un preludio, una condizione necessaria affinché il significato e la proposta che il senso di vuoto porta nella nostra vita, sia una grande opportunità di espansione e realizzazione personale. 

 

 Il senso di vuoto nella psicopatologia

Il senso di vuoto è un'esperienza soggettiva complessa e spesso angosciante, caratterizzata da una sensazione di mancanza interiore, di assenza di significato, di disconnessione da sé stessi e dal mondo circostante. Pur non rappresentando un fenomeno necessariamente patologico, come scritto più sopra, questa esperienza può rappresentare anche un sintomo trasversale, presente in diverse condizioni psicopatologiche, che contribuisce significativamente alla sofferenza e alla disfunzionalità dell'individuo affetto.

Nel Disturbo Borderline di Personalità (DBP) il senso di vuoto cronico rappresenta uno dei criteri diagnostici chiave, come indicato nel DSM 5. Esso si manifesta come una perenne e pervasiva sensazione di mancanza legata ad una profonda incertezza riguardo al propria identità, descritta come un “sentirsi vuoti”, o un’assenza di senso, come se qualcosa di fondamentale mancasse all’interno di sé. Nell’ambito di questo disturbo, il senso di vuoto è anche collegato alle difficoltà di regolazione emotiva che ne caratterizzano gli aspetti patologici: ossia le difficoltà di identificare, dare un nome e regolare le emozioni che tendono dunque a divenire sopraffacenti, portando a comportamenti compensatori autodistruttivi come abuso di sostanze, autolesionismo o tentativi di suicidio, finalizzati ad interrompere la sofferenza nel tentativo di riempire il vuoto percepito o di anestetizzare il dolore. La paura dell’abbandono e la profonda sensazione di solitudine possono esacerbare la sensazione di “vuoto interiore”.

Nei Disturbi Depressivi, il senso di vuoto interiore è un sintomo comune; si manifesta come apatia e perdita di interesse, motivazione e piacere nelle attività che prima erano gratificanti (anedonia), e si associa alla difficoltà a sperimentare stati interni piacevoli. È spesso legato ad una visione negativa di sé, dell mondo e del futuro (triade cognitiva di Beck) e può accompagnarsi con sentimenti di autosvalutazione, colpa, tristezza e disperazione.

Nei Disturbi Dissociativi quali il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione e il disturbo dissociativo di identità (DID), il senso di vuoto può essere legato ad una alterazione della coscienza, dell’identità e della memoria, che distorcono la percezione di sé e del mondo circostante. In particolare, nel disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione, il senso di vuoto può derivare dalla sensazioni di distacco dal proprio corpo (depersonalizzazione) e/o di distacco e non appartenenza dal mondo circostante (derealizzazione), raccontate come la sensazione di non essere reali, o di stare vivendo in un sogno o in un film. Nel DID il senso di vuoto può essere legato alla presenza di diverse identità, o stati identitari frammentati della personalità, che rendono estremamente difficoltoso percepire se stessi come una unità integra, coerente e prevedibile. In questi casi, il senso di vuoto può rappresentare anche la risultante di esperienze traumatiche, che hanno innescato meccanismi protettivi di natura dissociativa per fare fronte alla sopraffacente e profondamente intollerabile esperienza traumatica.

Il senso di vuoto è rappresentato anche nei Disturbi da Uso di Sostanze, spesso innescati proprio dal desiderio di “riempire” un doloroso senso di vuoto interiore ed alleviare l’angoscia attraverso l’induzione esogena di stati interni positivi e desiderabili (Attraverso appunto l’uso di sostanze). Purtroppo tuttavia, l’effetto fisico delle sostanze di abuso diventa esso stesso nel tempo un fattore importante nell’esasperare il senso di vuoto, alterando il funzionamento dei meccanismi cerebrali della ricompensa e portando ad una vera e propria dipendenza fisica dalla sostanza, con tutte le conseguenze fisiche, psicologiche, sociali e relazionali che ne derivano.

Possibili meccanismi psicologici sottostanti il senso di vuoto

Ricordiamo ancora che il senso di “vuoto” è un’esperienza interiore non necessariamente legata alla presenza di un disturbo mentale; esso può rappresentare - nella sua complessità e multifattorialità - anche una normale reazione a periodi particolarmente difficili e dolorosi. Le cause del senso di vuoto sono dunque complesse e multifattoriali poiché possono coinvolgere fattori biologici, psicologici e sociali; tuttavia possiamo esplorare alcuni dei fattori psicologici che lo sottendono:

Tendenza costante all’evitamento: parliamo genericamente di evitamento quando ci riferiamo ad un atteggiamento finalizzato a non entrare in contatto con esperienze (interiori ed esteriori), luoghi o memorie che sono per noi fonti di un disagio che non vogliamo sperimentare. In tali casi, i meccanismi di evitamento (e distrazione), allontanandoci dal disagio ci allontanano anche dalla possibilità di costruire una maggiore conoscenza di sé ed una integrità che sono necessarie al nostro benessere. In questi casi diventa difficile persino riconoscere valori, desideri e bisogni che ci muovono, definendo questa condizione come “un vuoto”.

Assenza di connessione con i propri valori, desideri e bisogni: quando si è disconnessi dalla propria esperienza interiore, distratti o evitanti, questa assenza di contatto e consapevolezza profonda di sé, può nel tempo essere percepita come un “vuoto”, come la mancanza di qualcosa. In questi casi, il senso di vuoto interiore può essere un importante segnale che ci invita ad aprirci ad una esplorazione coraggiosa di noi stessi, per riappropriarci della nostra interezza e complessità.

Difficoltà nella percezione stabile del proprio senso di identità: la mancanza di un senso di sé stabile e coerente può contribuire alla percezione del senso di vuoto.

Disregolazione emotiva: una difficoltà nell’identificare, esprimere e regolare le emozioni può essere collegata/provocare una sensazione di vuoto interiore.

Esperienze traumatiche: in particolare le esperienza traumatiche precoci, possono interferire con lo sviluppo di un sano ed integro senso di sé, e di una buona capacità di riconoscere e regolare le proprie emozioni. Inoltre gli eventi traumatici possono indurre reazioni difensive automatiche che comprendono anche aspetti dissociativi, aumentando il rischio di sviluppare un senso di vuoto cronico.

Stile di attaccamento Insicuro: aver sviluppato uno stile di attaccamento insicuro con le primarie figure di riferimento, può compromettere la capacità di sviluppare un senso di fiducia radicale, sicurezza e connessione con gli altri, contribuendo alla creazione ed al mantenimento di un cronico senso di vuoto.

In conclusione, il senso di vuoto interiore è un’esperienza difficile, a volte molto dolorosa ed angosciante, che attraversa trasversalmente la nostra esperienza di vita lungo un continuum che comprende aspetti fisiologici e normali in particolari fasi di vita, fino a costituire un aspetto importante di diverse psicopatologie. A volte ci invita insistentemente ad una accoglienza ed un ascolto più attento di noi stessi per attraversare momenti specifici della nostra vita ed espanderci per crescere e realizzarci in modo più integro e gratificante. Altre volte ci fa capire che è necessario ricercare un aiuto esterno.

Può essere importante dunque comprenderne il significato profondo e, se necessario, ricorrere al sostegno di un professionista per essere aiutati ad elaborarlo e risolverlo.

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I BENEFICI DELLA PRATICA DI MINDFULNESS

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Scritto da: Annalisa Barbier

Negli ultimi anni, la Mindfulness – ovvero la pratica della consapevolezza – ha guadagnato sempre più spazio nei contesti clinici, educativi, lavorativi e personali. Sebbene affondi le sue radici nelle meravigliose tradizioni contemplative orientali, oggi è riconosciuta anche dalla comunità scientifica come una risorsa preziosa per promuovere benessere mentale, equilibrio emotivo e salute fisica. 

Ma in quali ambiti si può applicare concretamente la Mindfulness? E in che modo può contribuire a migliorare la qualità della nostra vita?

In questo articolo accenno ai di versi contesti nei quali la consapevolezza, la presenza, rappresentano uno strumento profondamente trasformativo, efficace e accessibile. E’da ricordare qui tuttavia, che non si tratta di un “miracolo”, sebbene un bellissimo libro di Tich Nhat lo definisca proprio così (“Il miracolo della presenza mentale”), quanto di una crescita graduale, un cambiamento sottile e molto profondo che ha luogo nel nostro modo di essere e di affrontare la vita, che può diventare percepibile a tratti anche in modo molto evidente, ma che si costruisce gradualmente: con impegno quotidiano, fiducia, tenacia, pazienza.

Come ci ricordano i 7 pilastri della mindfulness, questi sono gli atteggiamenti da coltivare:

1) non giudizio

2) pazienza

3) mente del principiante

4) fiducia

5) non cercare risultati

6) accettazione 

7) lasciar andare

1. Gestione dello stress e dell’ansia

Viviamo in un mondo caratterizzato da ritmi accelerati, richieste costanti e continue fonti di pressione. Siamo etteralmente sommersi da informazioni che non siamo in grado di processare così velocemente: noi abbiamo bisogno di tempo per comprendere ed imparare. In questo scenario, la Mindfulness si rivela un alleato potente per imparare a riconoscere precocemente i segnali dello stress, ascoltare il corpo, osservare i pensieri e rispondere agli stimoli con maggiore lucidità. La pratica regolare della consapevolezza contribuisce a rafforzare la resilienza, a ridurre la reattività automatica e a coltivare un senso di calma e radicamento anche nei momenti più difficili.

2. Salute mentale

Le ricerche confermano che la Mindfulness può essere un valido supporto nella gestione di disturbi come ansia, depressione, disturbo post-traumatico da stress (PTSD), disturbi dell’umore e comportamenti disfunzionali. Essa promuove una modalità di relazione con la propria esperienza basata sull’accettazione, sulla gentilezza e sull’osservazione non giudicante.

Grazie a queste qualità, si riducono i processi di ruminazione mentale, si migliora la regolazione emotiva e si sviluppa una maggiore capacità di agire in modo intenzionale, anziché reagire in modo impulsivo. La Mindfulness favorisce inoltre la chiarezza mentale, il senso di stabilità interiore e il rafforzamento delle funzioni cognitive come memoria, attenzione e concentrazione.

3. Benessere fisico e gestione del dolore cronico

La Mindfulness aiuta a stabilire un contatto più autentico con il corpo, favorendo comportamenti salutari come una corretta alimentazione, il movimento consapevole, una buona qualità del sonno e il riconoscimento dei bisogni corporei. Un ambito di particolare rilievo è la gestione del dolore cronico.

A differenza di approcci basati sull’evitamento, la consapevolezza insegna ad avvicinarsi al dolore con apertura, osservandolo come un’esperienza mutevole, distinta dal giudizio o dalla resistenza. Questo approccio riduce la sofferenza “secondaria”, ovvero quella legata alla tensione, alla paura e alla lotta interiore. Studi clinici, inclusi quelli condotti nell’ambito del protocollo MBSR, mostrano che la Mindfulness riduce l’intensità percepita del dolore, ne modifica la qualità esperienziale e contribuisce a migliorare significativamente la qualità della vita di chi convive con condizioni dolorose come fibromialgia, artrite o lombalgia cronica.

4. Relazioni interpersonali

Le relazioni con gli altri sono il cuore della nostra vita affettiva; quando impariamo ad essere veramente presenti e consapevoli nel momento dell’incontro con l’Altro, quando sediamo davvero accanto all’Altro, allora possiamo ascoltare in profondità, comunicare in modo autentico e coltivare la sensibilità all’altro. La Mindfulness riduce i comportamenti reattivi e giudicanti, creando lo spazio per una comunicazione più efficace, compassionevole e rispettosa. Ciò favorisce la costruzione di relazioni più sane, gratificanti, prifonde e durature, sia in ambito personale che professionale.

5. Contesto lavorativo

La vita professionale può portare spesso a sperimentare pressioni, conflitti interpersonali, ritmi serrati e difficoltà nel gestire l’equilibrio tra vita e lavoro. La Mindfulness può aiutarci a migliorare il modo di lavorare ed il rapporto con il lavoro, aumentando la soddisfazione professionale e migliorando il clima relazionale tra colleghi. Numerose ricerche indicano che la consapevolezza prodotta dalla pratica di Mindfulness è in grado di ridurre i livelli di stress e burnout, potenziare la concentrazione, sottenere la creatività e rafforzare una leadership funzionale. Nei contesti organizzativi più sensibili all’innovazione, viene ormai integrata nei programmi di sviluppo delle risorse umane.

6. Ambito clinico: differenze tra MBSR e MBCT

Due dei protocolli mindfulness-based più studiati e applicati in ambito clinico sono l’MBSR (Mindfulness-Based Stress Reduction) e l’MBCT (Mindfulness-Based Cognitive Therapy).

  • MBSR: sviluppato da Jon Kabat-Zinn nel 1979, è un programma di 8 settimane che integra meditazione di consapevolezza, body scan, yoga gentile e pratiche informali, con l’obiettivo di ridurre lo stress, gestire il dolore cronico e affrontare la sofferenza in modo consapevole. È adatto a una vasta gamma di persone e non presuppone la presenza di una diagnosi clinica.
  • MBCT: creato da Zindel Segal, Mark Williams e John Teasdale, fonde le pratiche dell’MBSR con gli strumenti della terapia cognitivo-comportamentale. È pensato specificamente per prevenire le ricadute depressive, aiutando le persone a riconoscere i pensieri disfunzionali e a osservarli come semplici eventi mentali, senza identificarvisi. L’MBCT introduce il concetto di decentramento cognitivo e disidentificazione dai contenuti mentali, fondamentali per interrompere il circolo vizioso della ruminazione.

Entrambi i protocolli sono strutturati e supportati da solide evidenze scientifiche. La differenza principale sta nell’intento: l’MBSR è orientato al benessere globale, mentre l’MBCT ha una finalità clinico-preventiva mirata.

7. Ambito neurologico: gli effetti della Mindfulness sul cervello

Grazie agli studi di neuroimaging, sappiamo oggi che la pratica regolare della Mindfulness può in durare cambiamenti neuroplastici significativi, cioè portare modifiche reali nella struttura e nel funzionamento del cervello.

Le principali aree coinvolte sono:

  • Corteccia prefrontale dorsolaterale: associata alla pianificazione, regolazione esecutiva e controllo dell’attenzione. Se ne osserva un aumento dell’attività e del volume, indice di maggiore autoregolazione attentiva ed emotiva.
  • Corteccia cingolata anteriore: legata all’autoconsapevolezza e alla gestione dei conflitti interni. Nei praticanti, si rileva una maggiore attivazione, correlata a un miglior controllo cognitivo.
  • Insula: coinvolta nella consapevolezza interocettiva e nell’empatia. La pratica mindfulness rafforza questa area, rendendo più immediato l’ascolto delle sensazioni corporee e delle emozioni altrui.
  • Ippocampo: struttura fondamentale per la memoria e la regolazione dello stress. È stato dimostrato un aumento del volume ippocampale, soprattutto nei soggetti con sintomi ansioso-depressivi.
  • Amigdala: centro della risposta allo stress e alla paura. Studi come quelli di Hölzel et al. (2010) mostrano una riduzione dell’attivazione e del volume dell’amigdala nei praticanti, suggerendo una minore reattività emozionale e un migliore equilibrio neurofisiologico.

Questi risultati confermano che la Mindfulness può rimodellare il cervello, sostenendo il benessere mentale e la salute psicofisica in modo duraturo.

Conclusione: vivere con consapevolezza, ogni giorno

La Mindfulness non è solo una tecnica da apprendere, è principalmente un atteggiamento esistenziale: un modo di navigare la vita rimanendo capaci di coltivare  presenza, apertura, accoglimento e gentilezza, momento dopo momento. I suoi benefici, supportati da una crescente mole di studi clinici e neuroscientifici, la rendono una pratica trasversale, davvero utile per tutti coloro che desiderano portarla nella propria vita, adattabile e profondamente trasformativa quando seguita con costanza. La trasformazione che si sperimenta non è immediata ma piuttosto un processo continuo che riguarda il nostro modo di stare con noi stessi, e nella vita. Ci accorgiamo di sentirci più leggeri, meno trascinati dalle emozioni, dai nostri giudizi, dalle nostre aspettative. Impariamo a guardare alle cose con occhi “nudi”, ad accorgerci delle sovrastrutture che spesso inconsapevolmente guidano le nostre reazioni agli eventi. 

Che tu stia cercando strumenti per migliorare il tuo benessere personale o che tu sia un professionista della salute, la Mindfulness offre un’opportunità concreta per vivere in modo più autentico, equilibrato e consapevole

 

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