LA TIRANNIA DELLA POSITIVITÀ:quando la positività diventa tossica

Scritto da: Annalisa Barbier 

 

Negli ultimi anni, la “cultura della positività" ha guadagnato terreno, diventando quasi un mantra nel nostro quotidiano. Frasi come "pensa positivo" e "sii felice" sono diventate comuni e le assorbiamo senza nemmeno rifletterci su. Ma cosa succede quando questa spinta incessante verso il benessere inizia a diventare un problema?

 

 

 

PERCHÉ FA MALE REPRIMERE LE EMOZIONI NEGATIVE

L'idea che si debba sempre e a tutti i costi essere felici, ottimisti, positivi e costruttivi rischia di produrre un effetto collaterale a mio avviso molto grave: può indurci a credere che sia giusto, possibile e anzi doveroso rifiutare e silenziare le nostre emozioni considerate “negative” come ad esempio tristezza, rabbia o frustrazione, portandoci a giudicare noi stessi in modo duro per sentirci “giù”, vulnerabili o arrabbiati. Purtroppo, proprio questo giudizio porterà con sé un sentimento crescente di inadeguatezza, a coltivare la convinzione di avere “qualcosa che non va”, di non andar bene.

Questo fenomeno merita dunque una riflessione approfondita.

 

ORIGINI DELLA “RETORICA DELLA POSITIVITÀ”

La cultura della positività ha radici profonde nella filosofia occidentale, ma ha preso piede in modo particolare con il movimento del “self-help” degli anni '90 e 2000. Autori come Dale Carnegie ad esempio, nel suo libro “Come trattare gli altri e farseli amici” hanno enfatizzato l'importanza di mantenere un atteggiamento positivo per ottenere successo e felicità. Tuttavia, il crescente interesse per la psicologia positiva, rappresentato da personalità come Martin Seligman, ha contribuito ulteriormente a diffondere l'idea che la felicità sia un obiettivo primario nella vita. Questa idea in sé non è affatto sbagliata, in ultima analisi, ma può diventare profondamente controversa se viene interpretata in maniera superficiale.

Sebbene la psicologia positiva abbia portato alla luce aspetti molto importanti per il benessere psicofisico - come i concetti di resilienza e ottimismo - essa ha anche indirettamente instillato l'idea che l'unico modo per vivere una vita soddisfacente sia quello di evitare qualsiasi forma di disagio emotivo.

La pressione a essere sempre felici può manifestarsi in vari ambiti della vita:

Socialmente, vengono trasmesse aspettative implicite che ci spingono a mostrare solo emozioni positive, creando un ambiente in cui la vulnerabilità, la compassione, l’empatia vengono purtroppo percepite come una pericolosa forma di debolezza. Questo fenomeno è stato descritto da Brené Brown nel suo libro “Osare in grande”, in cui l’autrice sottolinea come la cultura della vulnerabilità sia spesso soffocata dalla pressione alla “positività a tutti i costi”, e quanto sia importante tornare ad avere il coraggio della propria vulnerabilità, inevitabile aspetto della nostra comune umanità.

Come accennato, a livello individuale la spinta alla positività può condurre a una forma di auto-sabotaggio: le persone che si sentono tristi, insoddisfatte  o ansiose possono sentirsi in colpa per provare queste emozioni, e agire dunque nella direzione di delegittimare, negare e finanche sopprimere i propri sentimenti più profondi e autentici. Ma la negazione delle emozioni difficili ci impone un prezzo molto alto: interferisce fino a compromettere l’espressione piena di sé, la crescita personale e l'elaborazione dei traumi.

Lo psicologo Richard Lazarus ha sottolineato come le emozioni negative possano svolgere un ruolo molto importante nel nostro processo di adattamento e di apprendimento: possono spingerci - se interpretate come segnali di orientamento nella vita - a sviluppare competenze e strategie di fronteggiamento nuove e funzionali, e dunque a costruire un benessere che nasce dalla capacità di sentirci capaci, e in grado di affrontare in qualche modo le difficoltà e i momenti difficili. 

 

CONSEGUENZE PSICOLOGICHE 

La delegittimazione delle emozioni negative può avere un impatto significativo sulla salute mentale, come evidenziato da vari studi. Ecco alcuni aspetti chiave:

  • Susan David, autrice del libro “Agilità emotiva”, evidenzia come la repressione delle emozioni negative possa provocare indirettamente problemi di salute mentale, inclusi ansia e depressione, suggerendo che accettare e confrontarsi con le proprie emozioni negative è essenziale per il benessere psicologico, e che la vera resilienza si costruisce attraverso l’accettazione, non la negazione. Mi preme qui specificare che, quando si parla di “ACCETTAZIONE”, non ci si riferisce ad un atteggiamento di passiva rassegnazione quanto piuttosto ad un atteggiamento interiore, più complesso e profondo, molto simile all’Accettazione di cui si parla nella Mindfulness (in effetti è uno dei 7 pilastri della mindfulness): riconoscere e accettare che le cose sono come sono nel momento presente, in modo non giudicante, spazioso ed aperto. Significa essere pienamente presenti nelle cose, così come si presentano momento dopo momento, sospendendo qualsiasi guerra interiore basata su critiche e giudizi di “come le cose dovrebbero essere”. Questo approccio aiuta a ridurre la resistenza e il conflitto interiore, promuovendo una relazione più sana con le esperienze. Accettare ciò che è, piuttosto che combatterlo, favorisce la serenità e la crescita personale, e soprattutto ci permette di trovare strategie di fronteggiamento funzionali. inoltre ricordiamolo: le cose sono in continuo mutamento, dunque anche i momenti difficili sono destinati a passare oltre se glielo permettiamo, se non li tratteniamo tra le maglie strette della nostra resistenza.
  • Ignorare o sopprimere le emozioni considerate indesiderabili o negative può impedire il corretto processamento delle esperienze.
  • Negare le emozioni difficili può anche influenzare le relazioni interpersonali: un ambiente in cui si accolgono e si accettano solo emozioni positive può portare ad una mancanza di autenticità nelle interazioni tra le persone, rendendo difficile la comunicazione e la connessione emotiva, e inducendo gradualmente profondi sentimenti di disconnessione, sfiducia e isolamento.
  • La resilienza non si costruisce solo attraverso esperienze positive, ma anche attraverso l'elaborazione delle emozioni dolorose; sopprimere ed evitare questi sentimenti, nel tempo riduce la nostra capacità di affrontare le difficoltà, di costruire competenze e capacità di fronteggiamento e quindi di poterci adattare in modo funzionale agli inevitabili alti e bassi della vita.
  • Sopprimere, delegittimare e allontanare a tutti i costi l’esperienza delle emozioni difficili o “negative”, non influisce soltanto sulla salute mentale ma anche su quella fisica: studi hanno dimostrato che lo stress cronico e la repressione emotiva possono contribuire a problemi di salute come malattie cardiache, disturbi gastrointestinali e altre condizioni correlate.
  • Un ambiente lavorativo eccessivamente votato alla “positività tossica”, può generare un clima di scarsa autenticità e comunicazione tra le persone: un articolo pubblicato sulla “Harvard Business Review” nel febbraio di quest’anno, evidenzia come la pressione a mantenere un atteggiamento positivo possa ridurre la creatività e la capacità di affrontare i conflitti, elementi essenziali per il team building e il problem solving.

 

CONCLUSIONE

La negazione e la repressione delle cosiddette “emozioni negative”, possono generare un circolo vizioso che compromette la salute mentale e fisica; diventa dunque cruciale imparare ad affrontare e accettare le emozioni difficili per ciò che sono: messaggeri che ci aiutano a comprendere il mondo e noi stessi, al fine di realizzare la pienezza di ciò che siamo, di avere un contatto autentico e profondo con il qui-ed-ora e con le persone intorno a noi. Come le emozioni piacevoli, anche quelle dolorose ci possono aiutare a creare legami  e connessione con gli altri. accoglierle, imparare a “navigarle” attribuendo loro il giusto senso e la giusta prospettiva, è importante per coltivare il benessere psicofisico e una vita soddisfacente. La spinta alla positività, sebbene benintenzionata, può creare una "positività tossica" che ci allontana dalla nostra umanità. Riconoscere il valore di tutte le emozioni, comprese quelle negative, è fondamentale: legittimarle non significa arrendersi, ma vivere in modo autentico e completo. Solo così possiamo crescere e realizzarci pienamente come individui.

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