
Viviamo immersi in una cultura che celebra il “fare”, il migliorarsi, il raggiungere “sempre di più” …La produttività, l’attenzione agli obiettivi da raggiungere, la capacità di risolvere problemi e di muoversi rapidamente da un punto A a un punto B appartiene alla modalità del fare che, pur essendo una dimensione indispensabile per la vita quotidiana, poiché grazie ad essa costruiamo, pianifichiamo, impariamo, ci evolviamo - può diventare anche il nostro peggior nemico.
Come scrive il filosofo Han, viviamo nella società dell’ “autosfruttamento”, in cui siamo noi i nostri stessi “sfruttatori”: spinti a fare sempre meglio… di più… abituati ad usare una dura e dolorosa autocritica nell’illusione che possa servire a renderci “migliori”… sempre migliori.
Tuttavia, quando la mente rimane intrappolata esclusivamente in questo registro, qualcosa si perde: la possibilità di abitare pienamente l’esperienza, di sentire la vita mentre accade, di accogliere le cose per come si presentano invece di pretendere che siano come vorremmo o pensiamo che dovrebbero essere. ci spostiamo dal “qui ed ora” agli spazi vuoti di “ciò che manca”.
Qui entra in gioco la modalità dell’essere, cuore della pratica di mindfulness, ad aiutarci e riportare equilibrio ed una prospettiva più spaziosa e aperta.
LA MODALITÀ DEL “FARE”
La modalità del fare è orientata allo scopo e funziona come un radar molto preciso: individua la distanza tra “come sono ora” e “come vorrei essere”, o tra “come vanno le cose” e “come dovrebbero andare” e mobilita pensieri e azioni per colmare lo scarto. Guarda solo gli spazi vuoti e perciò vuole riempirli, perché questo è quello che fa. È la modalità che ci guida quando organizziamo una giornata di lavoro, quando impariamo una nuova lingua, o quando risolviamo un problema pratico. Dunque va bene in molti ambiti ed è anzi molto importante.
Questa dimensione, tuttavia, applicata alle emozioni e agli stati interiori può diventare un terreno fertile per l’insoddisfazione e la sofferenza.; ad esempio, se mi sento triste, la modalità del fare cercherà immediatamente delle strategie per “eliminare”, risolvere, cambiare e allontanare quella tristezza, mi dirà che dovrei essere diverso, migliore, più sereno, che dovrei essere “positivo” ecc... Paradossalmente, questo tentativo di correzione che nasce in buona fede, è un meccanismo in grado i esacerbare e rafforzare la sofferenza stessa, spesso chiudendoci in un circolo vizioso di sofferenza e giudizio negativo sul fatto che stiamo provando sofferenza.
LA MODALITÀ DELL’ESSERE
La modalità dell’essere è radicalmente diversa: essa non è orientata a un obiettivo ma ad essere presenti nell’esperienza diretta. In questa modalità, la mente non cerca di cambiare o giudicare ciò che accade, ma si apre al momento presente così com’è, senza giudicarlo nè perdersi in narrazioni su di esso.
Nell’essere non c’è nulla da raggiungere: c’è piuttosto un lasciar accadere, un lasciar fluire. È la capacità di restare con ciò che sentiamo — che sia gioia, tristezza, pace o agitazione — senza doverlo immediatamente trasformare o allontanare. E’ importante comprendere una cosa: essere, lasciar accadere senza forzare le cose, non significa passività, ma è piuttosto un’attitudine di presenza e accoglienza, che spesso genera - spontaneamente e indirettamente - chiarezza, saggezza, pace interiore, conoscenza.
Ecco un esempio ed una metafora evocativa che possono aiutarci a comprendere meglio la differenza tra modalità del fare e modalità dell’essere:
1) immaginiamo di fare una passeggiata in un parco:
Quando siamo nella modalità del fare, potremmo contarla come esercizio fisico, misurare i passi o il battito cardiaco o la velocità dell’andatura al fine di ottimizzare l’esercizio, oppure pensare a come “ottimizzare” il tempo che state trascorrendo. Se siamo invece nella modalità dell’essere, ci lasciamo attraversare e toccare dai colori, dal profumo dell’aria, dal rumore delle foglie sotto i piedi, ci apriamo con curiosità ad osservare ciò che sta accadendo momento dopo momento, fuori e dentro di noi… sentiremo le sensazioni che sorgono e tramontano in noi di fronte agli stimoli esterni. Non sti amo camminando per ottenere un risultato, ma per il piacere puro e semplice di essere nel cammino, e di godere dell’esperienza.
2) Immaginiamo l’oceano:
La superficie agitata rappresenta la modalità del fare: movimento, scopo, tensione costante.
Gli abissi calmi e immoti incarnano la modalità dell’essere: silenzio, profondità, osservazione pura.
Quando la vita richiede adattamento, agilità, sforzo, determinazione, soluzione di problemi e ricerca di strategie allora è utile ricorrere alla modalità del fare; ma questa continua concitazione ci allontana da noi stessi, ed è in questo momento che la modalità dell’essere ci viene in aiuto: offrendoci la possibilità di sperimentare quiete, presenza, possibilità.
Entrambe le modalità sono preziose, ma quando siamo troppo nella modalità del fare, ci carichiamo di conflitti non necessari e spesso dannosi.
Non si tratta di eliminare il fare, ma di riconoscerne i limiti e di riscoprire e valorizzare la dimensione dell’essere, soprattutto quando ci relazioniamo con la nostra vita interiore. La mindfulness ci invita proprio a fare questo: ad allenare la capacità di sostare, osservare e sentire, riposare nel momento presente, così che la nostra esistenza non sia una corsa incessante verso ciò che manca, ma un incontro vivo con ciò che c’è.
Ricordiamo: “Il non-fare non è inattività, è permettere che le cose siano” (Cit.)
In questo spazio, l’essere e il fare si riconciliano e tornano in equilibrio, e dalla quiete dell’essere può nascere una forma di agire più consapevole, umano ed autentico.
Se vuoi approfondire come sviluppare la modalità dell’essere, puoi leggere il mio articolo
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