
Scritto da: Annalisa Barbier
Viviamo in un tempo che corre davvero veloce: le giornate sono spesso piene di impegni, di richieste esterne (lavoro, amici, famiglia…) e aspettative, e la sensazione è quella di dover continuamente rispondere e corrispondere ad esse, senza mai potersi fermare. In questo contesto, l’idea di prendersi cura di sé viene spesso considerata quasi un lusso: qualcosa da concedersi solo “se c’è tempo”. In realtà, prendersi cura di sé non è un di più ma una necessità vitale, perché senza questa base che ci permette di restare centrati e presenti a noi stessi, di ammorbidire le tensioni e creare uno spazio di ascolto interiore, rischiamo di esaurire energie, ammalarci, o perderci in una condizione di disconnessione da noi stessi e dagli altri.
Cosa vuol dire prendersi cura di sé
E’ bene chiarire alcuni comuni malintesi rispetto al “prendersi cura di sé”: prendersi cura di sé non significa essere egoisti, dedicarsi esclusivamente alla cura dell’aspetto estetico o a momenti di svago - sebbene anche questi elementi possano avere un ruolo importante. Significa piuttosto imparare a riconoscere e rispettare la propria umanità: ammettere di avere desideri, bisogni, limiti, emozioni, sofferenza. Vuol dire ascoltare il corpo per riconoscere, accogliere e rispettare quando chiede riposo, accogliere le emozioni che arrivano (soprattutto quelle difficili) senza reprimerle o giudicarle, scegliere di non superare continuamente i propri confini e limiti interiori. È un atto di ascolto e di rispetto profondo verso di sé: un modo per costruire una relazione gentile e autentica con la propria interiorità, che diventa anche la base per relazioni più sane con gli altri e, in generale, con le cose della vita.
Perché è importante farlo
Le ricerche in psicologia e neuroscienze mostrano chiaramente come, imparare ad avere cura di sé, ad essere presenti e consapevoli e a coltivare un atteggiamento caldo e gentile verso se stessi, favorisca una migliore regolazione emotiva, riduca ansia e depressione, ci renda più capaci di affrontare lo stress in modo sano e ci aiuti a coltivare un modo di stare nelle relazioni più autentico e gratificante. In particolare, la consapevolezza di sé e le abilità metacognitive stimolate dalle pratiche di Mindfulness, permettono di riconoscere i meccanismi automatici che spesso alimentano la sofferenza, mentre la compassione verso se stessi crea uno spazio di sicurezza interiore da cui partire e a cui tornare per affrontare difficoltà e sfide con maggiore equilibrio. Come scrive Kristin Neff, pioniera della self-compassion: “Remember that self-compassion doesn't eradicate pain or negative experiences, it just embraces them with kindness and gives them space to transform on their own” (che posso tradurre cosi: “ricorda che la self compassion non elimina il dolore o le esperienze negative, piuttosto le abbraccia con gentilezza e dona loro lo spazio per trasformarsi da sole”).
Come iniziare a farlo concretamente
Prendersi cura di sé non significa cambiare tutto d’un tratto atteggiamento ed abitudini; si tratta di una abilità che può essere costruita ed affinata con il tempo e la pazienza, fiduciosi nel fatto che porterà beneficio. Si può dunque iniziare da piccoli gesti quotidiani, magari ripetuti finché non diventano una nuova abitudine sana, come ad esempio:
- Ascoltare il corpo: portare l’attenzione alle sensazioni somatiche e viscerali per notare i segnali di stanchezza, tensione, dolore o bisogno di movimento. Fermarsi quando serve, senza farsi assalire dai sensi di colpa.
- Coltivare consapevolezza di sé: imparare ad osservare con curiosità e senza giudicare, i propri pensieri, le emozioni che emergono e le sensazioni somatiche che li accompagnano. Con il tempo diventerà più chiaro lo “schema” che lega questi aspetti, e questo ci permetterà di non reagire in modo automatico, ma di creare uno “spazio” di consapevolezza per poter scegliere come rispondere.
- Creare spazi di respiro e di ascolto: anche solo pochi minuti di silenzio, respiro consapevole o meditazione durante la giornata, riportano ad avere centratura dentro di sé, ad interrompere il ciclo delle cose che facciamo automaticamente e con poca presenza.
- Stabilire confini: proteggere tempi di riposo, dire “no” a richieste che esauriscono, creare zone libere da tecnologia o lavoro.
- Nutrire il cuore e la mente: leggere, ascoltare musica, camminare nella natura, coltivare attività creative o riposanti che donano senso e piacere.
- Essere gentili e compassionevoli con se stessi, soprattutto quando si attraversano difficoltà: trattarsi come si tratterebbe un amico caro, evitando giudizi severi e critiche interiori. La gentilezza verso di sé non è un segno di debolezza o pigrizia, né autoassoluzione acritica, ma una fonte di stabilità e resilienza.
- Coltivare relazioni che nutrono, evitando quelle che prosciugano energie.
- Chiedere aiuto quando serve e fare presenti i propri bisogni, riconoscendo che cercare sostegno non è un fallimento, ma un atto di cura e coraggio.
Questi gesti, praticati con continuità, diventano una radice stabile su cui far fiorire equilibrio e vitalità.
Le resistenze
Se prendersi cura di sé è così importante, perché per molte persone risulta tanto difficile? Forse anche solo leggendo i suggerimenti che ho scritto sopra, potresti aver notato delle resistenze sorgere in te, sotto forma di pensieri giudicanti, sensazioni corporee di disagio, emozioni contrastanti. Le resistenze a mettere in pratica ed agire atti di self-care hanno radici profonde, che riguardano un insieme di condizionamenti relativi alla nostra storia personale, ai modelli culturali, familiari e sociali che interiorizziamo, e creano una rete intricata di resistenze più o meno consapevoli, che possono riguardare diversi aspetti:
- Il senso di colpa: Una delle barriere più diffuse è la sensazione di “rubare” del tempo agli altri o a cose “più importanti”; in questo caso fermarsi, riposare, dire di no o dedicarsi a un bisogno personale viene vissuto come un atto egoistico, o come una “perdita di tempo”. Strano a dirsi, ma spesso è proprio così, e difficilmente ne siamo consapevoli; questo accade soprattutto in chi è cresciuto in contesti familiari dove l’amore era condizionato all’essere utili, disponibili, performanti, all’occuparsi dell’altro o al “non dare fastidio”. In età adulta, ogni gesto di auto-cura rischia di riattivare quella voce interiore che dice: “Non puoi pensare a te, devi prima occuparti degli altri” oppure “pensare a se stessi è puro egoismo”.
- La paura di non meritare cura: Molti invece faticano a sentirsi meritevoli di attenzione e gentilezza; questo accade soprattutto se i propri bisogni sono stati ignorati, svalutati, ritenuti fastidiosi o ridicolizzati durante l’infanzia. Può così radicarsi la convinzione profonda di non avere diritto alla cura, all’attenzione amorevole, al mettere un confine. In questi casi, prendersi cura di sé attiva emozioni dolorose come colpa, vergogna, inadeguatezza, timore di “non valere abbastanza” o di “non meritare”. La persona così, invece di proteggersi e custodirsi, tende ad ignorarsi e ad ignorare i propri bisogni profondi, perpetuando verso di sé l’originaria mancanza di riconoscimento e legittimazione.
- La pressione sociale e culturale: Viviamo in una cultura che esalta produttività, efficienza e disponibilità continua: “valgo se faccio”, “valgo se rendo” sono messaggi impliciti che spingono continuamente ad ignorare i propri limiti, a non mettere confini, a restare sempre in modalità “ON”. La cura di sé viene allora vista come un ostacolo alla performance, un tempo perso rispetto al restare all’altezza degli standard sociali. Non sorprende che molte persone si concedano momenti di riposo solo quando sono esauste o ammalate, e non come parte integrante della propria quotidianità.
- La paura del vuoto interiore: Per alcuni, fermarsi e rivolgere lo sguardo all’interno, a se stessi significa entrare in contatto con emozioni difficili, ricordi dolorosi o parti fragili e rinnegate della propria identità. L’attivismo costante diventa allora una strategia per non sentire; in questo caso, la cura di sé spaventa perché costringe a incontrare ciò che si è evitato a lungo. Tuttavia, è proprio in questi momenti che la gentilezza e la self-compassion diventano abilità e atteggiamenti fondamentali per attraversare ed avere cura della propria vulnerabilità, senza esserne travolti.
- Abitudine: Chi ha sempre anteposto i bisogni degli altri ai propri o ha costruito la propria identità sull’essere sempre “forte”, “indipendente”, sul non dover mai chiedere, può trovare difficile anche solo immaginare di rallentare i ritmi, di mettere dei confini alla propria disponibilità, di prendersi cura di sé o di chiedere aiuto. Cambiare copione richiede tempo, consapevolezza e la pazienza dei piccoli passi, che pian piano creano nuove possibilità di vivere la relazione - con sé stessi e anche con gli altri - in modo più equilibrato.
In sintesi, le resistenze che possiamo notare al prendersi cura di sé non sono segni di debolezza o incapacità, bensì importanti indicatori della nostra storia; vederle, comprenderle e accoglierle senza giudizio è già una forma di cura e di attenzione verso sé. È il primo passo per sciogliere quei nodi che impediscono di riconoscere anche se stessi come degni di cura, attenzione e gentilezza.
Conclusione
Prendersi cura di sé non è un lusso, né un atto di egoismo. È un gesto di responsabilità e di amore: scegliere di nutrire la propria energia, rispettare i propri confini, riconoscere la propria dignità e sostenersi con gentilezza nei momenti difficili.
La domanda da porsi non è “me lo posso permettere?” ma piuttosto: “posso davvero permettermi di non farlo?”
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