PROBLEM SOLVING E AUTOEFFICACIA

Con il termine Problem Solving (PS) si indica uno dei 3 elementi – certamente il più comunemente noto –  che compongono il processo di ragionamento logico attivato al fine di risolvere un problema:
1) PROBLEM FINDING: Il termine significa letteralmente “scoprire il problema“, e indica il momento in cui l’attività cognitiva è diretta ad individuare e riconoscere la presenza di un elemento o situazione-problema. Suo presupposto ne sono intuizione ed apertura mentale a considerare l’esistenza di un problema; infatti, se non avviene questo passaggio propedeutico di individuazione ed accettazione, le fasi successive non sono applicabili. Come dire: se non vedo che c’è un problema, non posso risolverlo.
2) PROBLEM SHAPING: letteralmente “dare forma al problema“, è  la fase del processo in cui il problema, identificato e riconosciuto, viene ulteriormente delineato, ridefinito e riformulato in termini chiari ed operativi al fine di facilitarne la soluzione. Esprimere un problema, di qualsiasi natura esso sia, in maniera maniera vaga e confusa, rappresenta un ostacolo alla sua risoluzione. Come dire: se non so bene di che si tratta non posso nemmeno cercare la soluzione adatta.
3) PROBLEM SOLVING: letteralmente “risoluzione del problema”. Questa è la fase più comunemente nota  poichè se ne parla molto, soprattutto nell’ambito del coaching e del management.
Naturalmente, tutti noi ci troviamo continuamente ad affrontare difficoltà, ostacoli al raggiungimento di un obiettivo, problemi più o meno gravi e più o meni difficili da gestire: non sempre è necessario applicare il procedimento sequenziale tipico del PS da manuale. Anzi, a volte sono sufficienti il nostro buon senso, l’esperienza pregressa, un po’ di intuizione, tenacia e  pazienza per riuscire a “risolvere” da soli la questione.
Tuttavia ,non sempre ci vengono in mente le soluzioni più adatte: certi problemi possono essere particolarmente complessi o del tutto nuovi, non trovando quindi nel nostro database cognitivo di esperienze precedenti, qualcosa di simile o riconducibile alla questione nuova. Può essere che le esperienze pregresse abbiano costruito in noi dei presupposti sbagliati, o delle modalità di azione inefficaci, o dei pregiudizi, che rappresentano un ostacolo nella ricerca della soluzione. Oppure ancora, ed accade molto spesso, il forte impatto emozionale che un problema ha sull’individuo può renderlo incapace di restare lucido e tranquillo al fine di affrontare efficacemente la ricerca di una soluzione.
In questi casi, ricorrere alla tecnica di problem solving può essere di grande aiuto per uscire dall’impasse.
Prima di definire i passaggi logici di cui si compone la tecnica del PS, vorrei parlare brevemente di alcuni elementi a mio avviso di grande importanza, in quanto in grado di compromettere la ricerca di una soluzione valida ad un problema:
1) l’esistenza di pregiudizi che ostacolano la ricerca di una soluzione
2) la presenza di distorsioni cognitive (leggi il mio articolo “Le distorsioni cognitive“) che influenzano il modo in cui il problema viene percepito e valutato
3) uno scarso senso di autoefficacia (“Self Efficacy”, A. Bandura), che altera la percezione delle proprie capacità ed il proprio senso di efficacia nell’agire per risolvere il problema.
questi elementi, variamente rappresentati e mescolati, possono rendere l’individuo incapace di definire il problema e successivamente, di agire correttamente al fine di cercare ed applicare una soluzione efficace.
Il pregiudizio limita la libertà e il potere creativo del pensiero, poiché lo rinchiude nelle mura ristrette del giudizio già confezionato, non più analizzabile, rigido ed ipercontestualizzato. Mentre invece uno degli elementi del problem solving è la capacità di lasciar spaziare la mente, il pensiero e la sua attività creativa senza alcun limite, senza esprimere alcun giudizio di valore e fattibilità.
Le distorsioni cognitive alterano la capacità di osservare e valutare con buon senso e giudiziolucido tutti gli elementi della questione: contesto, attori (attivi e passivi), risorse, rischi, soluzioni possibili.In tal modo limitando se non addirittura rendendo estremamente difficoltoso il processo di analisi ed elaborazione di problema e soluzioni.
Infine, “last but not least”, il senso di autoefficacia (“l‘insieme di convinzioni circa le proprie capacità di organizzare ed eseguire le sequenze di azioni necessarie per produrre determinati risultati“. Bandura, 2000) è in grado di pilotare i nostri sforzi: se sentiamo di poter trovare ed applicare una soluzione faremo di tutto per impegnarci nel processo. Viceversa, se crediamo di non avere le competenze nè alcuna capacità per risolvere il problema, ci arrenderemo facilmente; “l’autoefficacia, non è dunque una misura delle competenze possedute, ma la credenza che la persona ha in ciò che è in grado di fare in diverse situazioni con le capacità che possiede” (Borgogni, 2001).
Quindi, a mio avviso non ha senso applicare asetticamente le fasi del PS – per quanto funzionale, logico ed utile esso sia in molti casi – se a monte non si lavora sulla presenza degli elementi sopra indicati per far sì che non influenzino, in maniera disfunzionale e distruttiva, tutto il processo di ridefinizione del problema e ricerca ed applicazione di soluzioni.
Occorre conoscere i propri pregiudizi e le proprie distorsioni cognitive al fine di metterne in discussione la veridicità e, se necessario, occorre lavorare sul senso di autoefficacia individuale per permettere una maggiore proattività ed iniziativa.
Fatto questo primo passaggio laddove necessario, ecco che si può iniziare ad applicare la tecnica del PS alla soluzione del problema circostanziale, ricordando ancora una cosa molto importante:
Il problema NON E’ l’ostacolo. Il problema è la condizione in cui a causa di uno o più ostacoli, ci rendiamo conto che occorre CAMBIARE per raggiungere i nostri obiettivi. Esso ci porta a volgere lo sguardo al di là, a cercare soluzioni NUOVE, a ricorrere al CAMBIAMENTO.

 

Parlerò a fondo  del PS nel mio prossimo articolo.

 

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