LE FERITE INTERIORI CHE COMPROMETTONO LE RELAZIONI

Scritto da: Annalisa Barbier 

 

Le interpretazioni del comportamento degli altri, siano essi amici, partner o colleghi sono influenzate dalle rappresentazioni mentali che abbiamo costruito sin dall’infanzia, a partire dai legami di attaccamento sperimentati con i nostri genitori e le figure di riferimento e di accudimento. Sono dunque l’esito dei nostri precedenti legami di attaccamento. 

 

Queste esperienze costruiscono i nostri Modelli Operativi Interni, cioè le convinzioni che abbiamo su noi stessi e sugli altri nelle relazioni importanti; contengono le previsioni su come si comporteranno coloro che ci stanno intorno ed influenzano il nostro modo di comportarci, attribuendo agli altri emozioni e comportamenti sulla base del contenuto e della struttura dei nostri Modelli Operativi Interni. 

 

Da adulti, quindi, vediamo il mondo e costruiamo la nostra realtà attraverso il filtro di queste rappresentazioni mentali, che hanno avuto origine nei legami affettivi infantili e sono influenzate dalla qualità di questi.

Bowlby parlava di Modelli Operativi Interni (MOI) o Internal Working Models (1968/1988) indicando, con questa definizione, i modelli interni di riferimento che gli individui costruiscono nell’infanzia attraverso le esperienze di interazione con l’ambiente e con le figure di riferimento e accudimento.

 

Questi modelli comprendono le percezioni di sé e delle figure di accudimento o, ancor più precisamente, rappresentano modelli di sé-con-l’altro (Liotti, 2001) cioè modelli della relazione che abbiamo o possiamo aspettarci di avere con l’altro. I MOI sono (Albanese, 2009)Rappresentazioni mentali, costruite dall'individuo come strutture mentali che contengono le diverse configurazioni (spaziale, temporale, causale) dei fenomeni del mondo e che hanno la funzione di veicolare la percezione e l'interpretazione degli eventi, consentendogli di fare previsioni e crearsi aspettative sugli accadimenti della propria vita relazionale”.

 

Nel mio articolo “Stili di attaccamento e relazioni sentimentali” parlo dei diversi stili di attaccamento che possono svilupparsi in seguito alle esperienze di accudimento sperimentate nell’infanzia. 

Nel caso siano state vissute relazioni di accudimento disfunzionali, carenti o abusanti, è probabile che si siano formati stili di attaccamento insicuri o disorganizzati, che potrebbero avere ripercussioni anche nel modo in cui si costruiscono e si vivono le relazioni importanti in età adulta.

 

La parte più difficile del recupero dalle esperienze di accudimento insufficienti, sbagliate o abusanti, riguarda non tanto la consapevolezza che i propri bisogni non sono stati soddisfatti, sono stati del tutto trascurati o che si è stati trattati male dalle figure di accudimento, quanto piuttosto la capacità di rendersi consapevoli e di gestire i modelli relazionali maladattivi che abbiamo internalizzato, e le conseguenze che essi provocano nella nostra vita relazionale.

 

RICONOSCERE DI AVERE UNA “FERITA INTERIORE”

Può essere molto difficile riconoscere di avere una ferita interiore legata agli errori (spesso involontari o inconsapevoli) compiuti dalla figura di accudimento, quella che più di tutte avrebbe dovuto proteggerci, accudirci, accoglierci e insegnarci a diventare sicuri e forti.

Da bambini infatti, assorbiamo tutto ciò che ci viene detto su di noi come se fosse una “verità incontrovertibile” un dato di fatto solido e assodato che non potrà cambiare mai: “sei pigro”, oppure “sei un bambino cattivo” o altro, sono espressioni che il bambino assorbe e fa proprie senza avere la capacità di poterle mettere in discussione, né di comprendere che spesso si tratta di affermazioni imprecise e parziali. In tal nodo cresce diventando un adulto che è ancora – spesso inconsapevolmente – profondamente convinto di essere pigro o cattivo, e si comporta di conseguenza, dando per scontato che si tratti di una verità assoluta e immodificabile. Un'altra ragione che rende difficile comprendere di aver avuto relazioni di accudimento disfunzionali, è legata al fatto che ogni bambino tende a credere che ciò che accade in casa sia “normale”, che accada allo stesso modo in tutte le altre famiglie: penserà che suo papà alza le mani perché “è stanco” oppure “perché mi comporto male”, o che la mamma è arrabbiata o infastidita perché “sono un cattivo bambino che dà fastidio”. Non è infrequente comprendere che qualcosa non va nella propria famiglia, in seguito all’aver sperimentato cosa accade in altre famiglie, dove magari le figure di accudimento sono più gentili, amorevoli e disponibili. 

E’ difficile accettare l’idea che il dolore che abbiamo dentro, le difficoltà che viviamo nelle relazioni con le altre persone – specialmente con il/la partner – originano dal modo in cui proprio nostra madre ci ha trattati da bambini (quando lei è stata la figura di accudimento principale); si tende così a normalizzare, giustificare, negare certi comportamenti, senza che vi sia una vera e profonda comprensione di come sono andate le cose, e delle motivazioni che le hanno prodotte, unica via questa per poter passare dalla comprensione all’accoglimento del passato per ciò che è stato e, infine, al perdono.

FALSI MITI DA SFATARE

Per procedere dal percorso di comprensione e accettazione di ciò che è stato alla costruzione di uno stile relazionale più sano e gratificante, possiamo partire dal mettere in discussione alcuni falsi miti sui quali spesso poggiano convinzioni, atteggiamenti e comportamenti che automaticamente si esprimono nelle relazioni con gli altri:

1.L’AMORE VA GUADAGNATO: probabilmente, a causa del modo controllante, giudicante o carico di aspettative in cui siamo stati cresciuti, abbiamo imparato che l’amore non è mai gratuito, ma deve essere meritato e guadagnato dandosi da fare per gli altri, accondiscendendo alle loro richieste oppure cercando di “non dare fastidio” con bisogni e richieste.

2.BISOGNA NASCONDERE I PROPRI SENTIMENTI: lezione si impara quando i genitori si arrabbiano o prendono in giro un figlio a causa della sua sensibilità, chiamandolo “piagnucolone” o accusandolo di essere esagerato o troppo sensibile. I bambini in genere rispondono a questo comportamento, costruendosi una sorta di “barriera” dietro alla quale nascondere i loro sentimenti e le loro emozioni, prendendo le distanze e proteggendosi da queste. Così facendo però, perdono anche l’opportunità di sviluppare adeguate abilità di gestione delle emozioni stesse.

3.   LA COSA PIU’ IMPORTANTE SONO LE APPARENZE: questo si apprende da un genitore particolarmente votato a curare le apparenze, che tratta i propri figli come “estensioni di sé”, pretendendo da questi di fargli/le fare sempre bella figura quando sono in pubblico. Il bambino dunque impara che ciò che conta veramente, per essere “amati” dal genitore, non è tanto esprimere il proprio sé, quanto piuttosto le apparenze esteriori che si mostrano.

4.È MEGLIO NON MOSTRARSI PER CIO’ CHE SI E’: la critica e la svalutazione costanti subite dalle figure di accudimento portano il bambino ad assumere comportamenti finalizzati a soddisfare e accontentare i genitori, a fare qualsiasi cosa per sentirsi approvati e apprezzati da questi. Questo processo può portare alla costruzione di un “sé falso”, finalizzato a piacere al genitore, e a imparare a nascondere e non mostrare ciò che si è veramente, fino a perdere quasi il contatto con ciò che si ama davvero e che rende davvero felici.

5. OCCORRE CONTROLLARE IL PROPRIO RUOLO NELLA RELAZIONE: quando si è sperimentato un legame di attaccamento con un genitore non amorevole, la relazione non è mai veramente reciproca, perché i comportamenti del genitore nei confronti del bambino gli insegnano che in una relazione c’è sempre un elemento forte e uno debole e che occorre, per proteggersi, mantenere il controllo, cercando di non essere o diventare l’elemento debole.

1.NON SEI ABBASTANZA: svalutazione, giudizio costante, atteggiamento ipercritico delle figure genitoriali, uniti alla mancanza di validazione e supporto sono responsabili dell’origine di questa convinzione di fondo, che opera silenziosamente e in modo dannoso nella costruzione delle future relazioni.

2.HAI MERITATO DI ESSERE TRATTATO MALE: in presenza di genitori maltrattanti è molto più facile per il bambino giungere alla conclusione di meritare i maltrattamenti, piuttosto che prendersela con chi dovrebbe accudirli e proteggerli amorevolmente. Prendersela con se stessi del resto, serve a molti scopi, non ultimo quello di mantenere in vita – una volta adulti - una relazione abusante. 

3. DEVI PIACERE E ACCONTENTARE GLI ALTRI: pur di andare d’accordo con l’altro – per averlo accanto, per sentirsi apprezzati o non sentirsi in colpa - ci si limita, si rinuncia a far valere la propria voce e ad esprimere se stessi, fino ad annullarsi.

4.L’ INTIMITA’ È PERICOLOSA: tipica posizione di coloro che hanno sviluppato uno stile di attaccamento evitante e logica conclusione delle relazioni avute con le figure di attaccamento – verosimilmente fredde e indisponibili – dell’infanzia. 

Mettere in discussione queste posizioni ed affermazioni – più o meno consapevoli - apprese durante l’infanzia attraverso le relazioni di attaccamento, è un passo importante verso un maggior benessere e relazioni interpersonali e sentimentali gratificanti. Ma prima ancora di poterle mettere in discussione, occorre imparare a individuarle dentro di noi: possiamo farlo portando l’attenzione consapevolmente su certi nostri comportamenti che tendono a ripetersi, e sul nostro dialogo interno nelle situazioni interpersonali. Può essere utile iniziare a chiedere a noi stessi cosa pensiamo automaticamente di noi e dell’altro, nelle situazioni in cui magari ci sentiamo più vulnerabili o bisognosi: sentiamo di meritare le cure e le attenzioni dell’altro? riusciamo a chiedere ciò di cui abbiamo bisogno o desiderio? Ci aspettiamo che l’altro possa venirci incontro? Ci fidiamo? 

Una lettura utile per approfondire questo, argomento è il libro di Grazia Attili: “Attaccamento e legami”.

 LEGGI ANCHE: stili di attaccamento e relazioni sentimentali

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