AMARE SENZA PERDERSI: RICONOSCERE E GUARIRE LA DIPENDENZA AFFETTIVA

Scritto da: Annalisa Barbier

La dipendenza affettiva è una condizione relazionale che non figura nei manuali diagnostici come il DSM-5-TR o l’ICD-11, ma che in ambito clinico è sempre più riconosciuta e concettualizzata, rappresentando di fatto un fattore di grande sofferenza e di vulnerabilità psicologica.

Chi la sperimenta vive l’emergenza di un bisogno costante e urgente dell’altro per sentirsi emotivamente stabile, regolato, e  tende dunque a porre l’altro al centro di suoi pensieri o del suo mondo, spesso sacrificando sé stesso pur di mantenere il legame. Non si tratta di “amare troppo”, né di essere particolarmente romantici, ma di una struttura di significato, uno schema relazionale che ha più a che vedere con un “amare in modo distorto”, con una confusione tra amore, bisogno, controllo e possesso, che limita l’autonomia, compromette la qualità della vita e può condurre a relazioni potenzialmente dannose o pericolose. Non è infrequente identificare, nel sistema cognitivo delle persone affette, pensieri e convinzioni che esprimono una modalità distorta di considerare le relazioni d’amore, spesso basata su un senso di identità e valore personale molto fragile e instabile, sull’incapacità di regolare le proprie emozioni, sulla convinzione di non poter stare da soli nella vita oppure che l’altro limiterà troppo la nostra libertà, se la relazione diventa troppo intima, ecc… Ne possono derivare la tendenza a non legittimare i propri bisogni, il mettere l’altro al primo posto, oppure tenerlo alla “giusta distanza” alternando distanziamento e controllo, l’attitudine a compiacere o accudire compulsivamente, a controllare che l’altro non si allontani emotivamente nè fisicamente, ricattarlo emotivamente per trattenerlo vicino, rendersi indispensabili, utili o “perfettamente rispondenti” ai desideri e preferenze dell’altro. 

Le seguenti frasi non vogliono essere esaustive, ma rappresentano alcuni esempi generalizzati dei pensieri che possiamo riconoscere frequentemente all’interno della dipendenza affettiva: 

“senza di te sento di non esistere davvero-la mia vita non ha senso”

 “non mi fido di te” (comportamenti controllanti)

“perchè non mi hai risposto subito? - cosa stavi facendo…?”

“farò quello che vuoi”

“…devo sapere tutto quello che fa”

“farò qualsiasi cosa per te”

“se mi lasci, non saprò cosa fare - mi sentirò morire”

“sono persa/o senza di te”

“sei tutto per me”

“non merito una persona come te”

“senza di te non valgo niente”

“voglio essere libero/a questa relazione e schiacciante” ecc…

Ma vediamo meglio cosa è la dipendenza affettiva, da dove nasce la predisposizione a sperimentarla nelle relazioni, come si manifesta, quali conseguenze può provocare dal punto di vista del benessere psicologico e quali sono gli approcci terapeutici che ne facilitano la rielaborazione. E’ importante ricordare che è sempre possibile fare dei passi verso lo sviluppo di modalità relazionali più sane e gratificanti!

COSA SI INTENDE PER DIPENDENZA AFFETTIVA

In psicologia clinica, la dipendenza affettiva può essere vista a tutti gli effetti come una dipendenza comportamentale: non vi è infatti una sostanza dalla quale dipendere quanto invece un comportamento, un “oggetto relazionale” (la relazione o la persona), da cui si ricercano in modo compulsivo presenza, approvazione e rassicurazione.

I tratti distintivi includono:

  • Craving relazionale: desiderio intenso di contatto, attenzioni, tempo trascorso insieme (fase caratteristica del normale processo di innamoramento)
  • Sintomi di astinenza emotiva: ansia, vuoto o panico quando l’altro si allontana o allenta la sua presenza (ad esempio relativamente anche alla quantità e frequenza di messaggi, di vocali o telefonate inviati)
  • Tolleranza: come per le sostanze di abuso, vi è un bisogno crescente di rassicurazioni e conferme da parte dell’altro, al fine di “sentirsi bene” e regolare gli stati interni spiacevoli 

Il legame con l’altro diventa l’elemento regolatore principale del proprio equilibrio interno: da un lato organizza i pensieri, le attività, le giornate, dà senso a ciò che si sente-si fa-si è, dall’altro funziona da regolatore delle emozioni, sostituendosi alla capacità individuale di autoregolazione emotiva, spesso compromessa nei soggetti dipendenti. A volte la relazione risponde a bisogni conflittuali di appartenenza e autonomia dunque viene mantenuta un po’ a “corrente alternata”, o “mantenendo i piedi in due staffe” per sentire di non perdere la propria libertà e non perdere però neanche l’altro. 

Frequentemente inoltre, la dipendenza riguarda il percepire l’alternanza tra stati emotivi intensi all’interno della relazione, configurando una dipendenza dall’intensità emotiva in essa sperimentata (i famosi “alti e bassi” o “montagne russe”) che, se da una parte può avere la finalità inconsapevole di mantenere la mente occupata a “girare” sui temi relazionali, dall’altra rinforza il ciclo di dipendenza un po’ come accade per i giocatori d’azzardo: sperimentare l’attesa eccitante che dopo la delusione o l’angoscia arrivi nuovamente la “vincita”, il momento idilliaco…

Ciascuno di noi cresce in un ambiente familiare più o meno “sufficientemente buono” in termini di prime esperienze di accudimento, e di risposta a bisogni di base quali ad esempio protezione, rispetto, sintonizzazione emotiva ecc. Quando queste prime esperienze di attaccamento sono fallaci, incostanti, inaffidabili, imprevedibili o quando sono caratterizzate da freddezza, noncuranza o abusi, ciascuno impara ad attuare delle “strategie di sopravvivenza” relazionale. Queste sono basate non soltanto sugli eventi che accadono, quanto soprattutto sul significato che il bambino attribuisce a tali eventi, sulla lettura che ne dà, e sul modo in cui le interpreta. A parità di eventi infatti, individui diversi possono produrre letture e interpretazioni diversi dello stesso, e conseguentemente sviluppare sistemi di significato, risposte emotive e comportamentali differenti. questa vanno a grandi linee a formare quei modelli interni che definiscono come percepiamo noi stessi, gli altri e la relazione. Nel caso della DA, tali modelli interni sono caratterizzati da interpretazioni e significati che diventano rigidi e inflessibili, ripetitivi, inconsapevoli, spesso distorti e dunque impossibili da adeguare ai singoli e diversi contesti. Viene a mancare la flessibilità, la capacità di modificare le risposte e le interpretazioni in base la contesto, dunque la capacità di introdurre complessità ed elasticità a livello sia cognitivo, che emotivo e comportamentale. Queste dinamiche irrigidite, ostinate e ripetitive sono alla base della DA.

COME SI MANIFESTA

Principalmente attraverso un sintomo generale: la riduzione della LIBERTÀ. La libertà di manifestare i propri sentimenti, di restare fedeli ai propri valori profondi, di dire “no”, di scegliere come comportarsi, di decidere se rimanere o chiudere la relazione. Ma anche quando la consapevolezza di voler chiudere la relazione (o doverlo fare per la propria salvaguardia) si alterna alla consapevolezza di non riuscire a farlo perché prendono il sopravvento emozioni troppo dolorose e comportamenti automatici (controproducenti) finalizzati a risolvere al più presto tale distress interno.

Sono spesso presenti senso di perdita, senso di vuoto e disvalore, paura dell’abbandono, senso di colpa, inadeguatezza, paura della solitudine… Così si rinuncia ai propri bisogni, valori e desideri pur di mantenere il legame.

Alcuni comportamenti comunemente riconosciuti sono:

  • Gelosia, controllo e iper-vigilanza emotiva
  • Difficoltà a tollerare la solitudine
  • Coinvolgimento eccessivo nella vita dell’altro, fino all’esaurimento emotivo
  • Mettere l’altro al primo posto trascurando la propria vita
  • Anticipare i bisogni dell’altro
  • Stati dolorosi di ansia crescente di fronte al timore di essere lasciati o di rimanere da soli 
  • Comportamenti coercitivi nei confronti dell’altro
  • Ricatti emotivi e manipolazione emotiva
  • Dubbi e emozioni dolorose ricorrenti, che si ripetono in loop e paiono irrisolvibili 

Le manifestazioni emotive e comportamentali della DA, sempre responsabili di una perdita importante di libertà di scelta ed espressione di Sé, tendono a diventare più intense, complesse e disfunzionali nel tempo: con il progredire della relazione, portano infatti la persona a negare e rinunciare alla propria libertà di espressione, alla propria "identità", ai propri bisogni e valori pur di non perdere il partner o la relazione. Sono presenti, e diventano sempre più evidenti con il tempo, comportamenti di controllo, eccessiva ricerca o pretesa di contatto, vicinanza e rassicurazioni da parte del partner, che  tuttavia non realizzano mai una gratificazione completa e soddisfacente, a causa della sensazione che l'amore ricevuto non basti mai, che le attenzioni, la vicinanza, le cure offerte dal partner non bastino mai a riempire il vuoto percepito.

I sintomi della DA sono legati anche alle diverse forme che questa assume per ciascun individuo, sulla base del suo specifico stile di attaccamento. Tuttavia, nella forma più evidente, quando prevalgono paura della separazione, senso di vuoto, sensazione di essere “perduti” e angosciati in assenza del partner, si tende a vivere ogni distacco - anche se momentaneo - come un abbandono doloroso al quale deve a tutti i costi bisogna porre rimedio. Anche sopportando situazioni e comportamenti intollerabili.  Per tale ragione si finisce per evitare ogni comportamento che possa indurre distanza dal partner come passatempi, interessi ed impegni separati, discussioni, richieste, confini; viceversa, la persona fa di tutto per trascorrere la maggior parte possibile di tempo con il partner, fino al punto di negare i propri bisogni ed i propri valori ed isolarsi da amici, lavoro e famiglia. Possono comparire sintomi come:

 

  • Erosione del senso di sé, instabilità emotiva
  • Maggior rischio di depressione 
  • Disturbi del sonno
  • Disturbi d’ansia e/o attacchi di panico
  • Burnout emotivo e psicologico
  • Comparsa di disturbi somatici
  • Permanenza in relazioni abusanti o manipolative (con le implicazioni che questo comporta)
  • Isolamento da altre fonti di supporto sociale

UNO SGUARDO AGLI STILI DI ATTACCAMENTO

Nella comparsa della DA l’attaccamento gioca un ruolo fondamentale, poiché definisce il copione alla base del modo in cui si tenderà a vivere le relazioni interpersonali ma soprattutto sentimentali. Quello dell’attaccamento è un sistema innato che ci spinge, fin dalla nascita, a cercare vicinanza e protezione dalle figure di accudimento. Dalla qualità e dalla coerenza delle risposte del caregiver si formano i modelli operativi interni (Internal Working Models – IWM), vere e proprie mappe mentali che definiscono le risposte a due domande implicite:

  1. Sono degno di amore e cura?
  2. Gli altri sono disponibili e affidabili?

Questi modelli costruiscono l’impalcatura emotiva profonda che orienta, spesso in modo inconscio, il nostro modo di vivere le relazioni anche in età adulta.

  1. Gli stili classici di Mary Ainsworth

Mary Ainsworth, attraverso la Strange Situation, ha identificato quattro pattern principali di attaccamento:

  • Sicuro (B): fiducia nella disponibilità dell’altro, capacità di chiedere supporto e di essere autonomi.
  • Evitante (A): minimizzazione dei propri bisogni, distacco emotivo, precoce indipendenza e autosufficienza per proteggersi da delusioni o rifiuti. E’ uno stile che si sviluppa in risposta a caregiver poco disponibili e responsivi, rifiutanti, poco sensibili o emotivamente distanti. Ripetute esperienze di rifiuto o di mancata risposta ai bisogni di attaccamento, possono portare il bambino a interiorizzare la convinzione che non può contare sugli altri per il supporto emotivo. 
  • Ansioso/Ambivalente (C): intensa ricerca di vicinanza, insieme a senso di insicurezza e paura di perdere l’altro. Questo stile si sviluppa quando il bambino percepisce il caregiver come imprevedibile e non sempre disponibile, che alterna momenti di presenza e disponibilità a momenti di indisponibilità,  mostrando risposte incoerenti o imprevedibili ai suoi bisogni;
  • Disorganizzato (D): caratterizzato da un conflitto interno tra desiderio di vicinanza e paura dell’altro, che si esprime attraverso comportamenti contraddittori e disorganizzati ed importanti difficoltà di regolazione del distress. Si sviluppa in seguito all’esposizione a esperienze traumatiche e/o abusanti da parte dei caregiver; dunque la figura che dovrebbe accudire e proteggere, è la stessa che rappresenta un pericolo ed una minaccia. può collegarsi allo sviluppo di una visione di Sé frammentata e instabile e la tendenza in età adulta a ricreare - nelle relazioni - i modelli abusanti e maltrattanti vissuti nell’ infanzia. 

B. La prospettiva di Patricia Crittenden (DMM)

Patricia M. Crittenden, allieva di Mary Ainsworth e influenzata dal lavoro di John Bowlby, ha sviluppato il Dynamic-Maturational Model of Attachment and Adaptation (DMM), che amplia e riorganizza la classificazione originaria degli stili di attaccamento dell’Attachment Theory. Rispetto alla classificazione “classica” (sicuro, evitante, ansioso-ambivalente e disorganizzato), la studiosa propone un modello evolutivo-adattivo in cui le strategie di attaccamento sono considerate modalità organizzate di elaborazione delle informazioni (cognitive ed emotive), sviluppate per proteggere il sé in contesti percepiti come pericolosi o incerti. Nel DMM, le strategie sviluppate non sono viste come “patologiche” in sé, ma come adattamenti funzionali all’ambiente in cui il bambino cresce, considerando lo stile di attaccamento una strategia di autoprotezione sviluppatasi in risposta al pericolo e alla qualità della cura. Dunque le strategie di attaccamento sono strategie protettive e di adattamento finalizzate a massimizzare la protezione all’interno del sistema relazionale. Il sistema di attaccamento può dunque iper-attivarsi mostrando una sensibilità ed un orientamento maggiore alle emozioni e ai segnali di pericolo, o disattivarsi portando alla riduzione della consapevolezza emotiva e alla focalizzazione sugli aspetti cognitivi e comportamentali, a seconda delle esperienze precoci vissute. Le strategie si collocano lungo un continuum evolutivo, che parte da forme semplici tipiche dell’infanzia fino alla costruzione di strategie più complesse in età adulta.

Possono essere riassunte in modo semplificato nel modo seguente:

A – Strategie di tipo evitante /cognitivo

  • Orientamento prevalente: informazioni cognitive, minimizzazione o esclusione delle emozioni.
  • Funzione: ridurre l’attivazione del sistema di attaccamento per evitare rifiuto o punizione da parte della figura di accudimento.
  • Caratteristiche: minimizzazione della comunicazione di bisogni e vulnerabilità, autonomia precoce, apparente autosufficienza, scarso accesso consapevole alle emozioni negative.
  • Origine: caregiver rifiutanti o svalutanti verso le manifestazioni affettivo-emotive, che rinforzano il controllo e la non espressione delle emozioni.
  • Evoluzione: dalle forme infantili a quelle adulte più complesse con un crescente uso di razionalizzazione, rigidità cognitiva o perfezionismo.

C - Strategie di tipo ambivalente/affettivo

  • Orientamento prevalente: informazioni affettive, amplificazione e drammatizzazione delle emozioni.
  • Funzione: iperattivazione del sistema di attaccamento al fine di ottenere attenzione e protezione in contesti di cura incoerenti o imprevedibili.
  • Caratteristiche: enfasi sull’espressione emotiva, talvolta intensa o drammatica, scarso controllo dell’impulsività emotiva, dipendenza elevata dall’altro per regolazione emotiva e rassicurazione.
  • Origine: caregiver incostanti o intrusivi, in cui la prevedibilità è bassa e l’attenzione si ottiene soprattutto aumentando i segnali di bisogno.
  • Evoluzione: dalle forme infantili semplici alle strategie complesse in età adulta, con uso di manipolazione emotiva, conflitto relazionale o auto-sabotaggio come modalità di gestione del distress nella relazione

A/C – Strategie miste o complesse

  • Combinazione di processi cognitivi evitanti e processi affettivi intensi ed iperattivati.
  • Caratteristiche di contesti in cui vi è pericolo grave, imprevedibilità ed incoerenza (in presenza di maltrattamenti o abusi), casi in cui il bambino deve alternare rapidamente modalità opposte per garantire la sopravvivenza psicologica.
  • Nell’età adulta possono manifestarsi come stili relazionali contraddittori, oscillanti tra distacco e bisogno intenso.

Il modo in cui viviamo e organizziamo le prime esperienze di attaccamento rappresenta la matrice, lo scheletro su cui si costruisce l’organizzazione di significato personale, ossia - in breve -  il modo in cui attribuiamo significato e senso alle esperienze e costruiamo la nostra identità narrativa, il nostro senso del Sè. Ogni persona sviluppa una sorta di “filo conduttore” narrativo interno, fatto di emozioni ricorrenti, schemi interpretativi e comportamenti, che derivano dalle prime esperienze di legame e che restano attivi nel tempo, basandosi su dinamiche di ricerca di coerenza interna ed influenzando il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri. Il punto importante è legato alla possibilità di questi sistemi o strategie, di essere aperti alla complessità di significati, flessibili e adattabili ai differenti contesti. L’aspetto disfunzionale origine di disagio, nasce quando tali modelli divengono rigidi, inflessibili, inconsapevoli, automatici e chiusi a qualsiasi nuova interpretazione o comportamento alternativo.

 

LA VIA D’USCITA DALLA DIPENDENZA AFFETTIVA 

Per aiutare l’individuo ad “uscire” o meglio risolvere la DA, occorre attuare un approccio integrato, sequenziale e graduale, che comprende diversi aspetti e passaggi.

  1. Psicoeducazione e consapevolezza: riconoscere nella propria esperienza le manifestazioni della dipendenza affettiva, comprendere il modo in cui esse limitano la libertà ed il benessere, comprenderne i meccanismi psicologici, emotivi e comportamentali sottostanti, conoscerne le origini e le finalità - consapevoli e soprattutto inconsapevoli-automatiche;
  2. Coltivare la capacità di essere in contatto con se stessi: essere consapevoli di emozioni, paure e desideri che ci muovono, conoscere i valori profondi che ci guidano nella vita e fare in modo di rispettarli, per avere una vita nutriente e ricca;
  3. Imparare ad avere cura di se stessi: percepirsi autonomi e capaci anche in assenza di una figura di riferimento affettiva, coltivare interessi individuali separati e gratificanti, attività piacevoli, amicizie nutrienti. Imparare a sentire e rispettare la propria condizione di persona unica, degna e meritevole, indipendentemente dal partner;
  4. Accettare e pacificarsi con la propria storia di vita anche se è stata origine di sofferenza e difficoltà, pacificarsi con gli errori commessi, i comportamenti problematici e gli schemi ripetitivi che hanno fatto soffrire, per poter andare avanti e scoprire una nuova libertà;
  5. Assumere una prospettiva non giudicante e compassionevole verso se stessi: conoscere e rispettare i propri limiti e le proprie difficoltà. Ri-contestualizzare i comportamenti della dipendenza affettiva all’interno della cornice di riferimento che vede gli schemi relazionali che si ripetono, come modalità di adattamento e protezione dal dolore, non come una “malattia” o una disfunzione.
  6. Imparare a conoscere e rispettare il proprio bisogno di libertà ed espressione di sé: libertà di esprimersi, di legittimare sentimenti autentici, assumere comportamenti e scelte rispondenti ai propri valori, mettere confini, correre piccoli rischi, esplorare, costruire sicurezza nelle proprie capacità. Si tratta di un processo che necessita di tempo, pazienza, coraggio e tentativi graduali di fare ogni volta qualcosa di “diverso e nuovo”, che risponda  ai criteri di vero benessere e rispetto di sé che si sono imparati a conoscere e legittimare. 
  7. Coltivare l’assertività come strumento di espressione e rispetto di sé e dell’altro nelle relazioni.

E’ dunque importante, come primo e necessario passo, riconoscere la ciclicità e ripetitività dieci pattern relazionali disfunzionali che provocano sofferenza. riconoscere ed ammettere che vi sia un problema è importante per avviare un processo di consapevolezza e cambiamento. tale processo può a volte avvenire anche grazie all’esperienza correttiva di relazioni sane e nutrienti, ma è più spesso veicolato dal supporto e accompagnamento di un professionista.

Le tipologie di intervento terapeutico per la dipendenza affettiva possono fondarsi su diversi modelli di concettualizzazione ed intervento, e sulla loro integrazione in modelli di intervento complessi e sfaccettati;

Ad esempio, molto in breve:

  • La terapia Cognitivo-Comportamentale aiuta a conoscere e riconoscere gli schemi disfunzionali, per promuoverne un rimodellamento;
  • La terapia Cognitivo Comportamentale di Profondità Causale di Tamburello, è finalizzata a trasformare le cause profonde del disagio, legate a schemi di significato precoci che influiscono su emozioni, pensieri e comportamenti rendendoli rigidi e assoluti. Ciò al fine di promuovere la riorganizzazione stabile e duratura della persona, che permetta una libertà maggiore per una autentica espressione di sé;
  • La terapia Cognitivo-Interpersonale aiuta a lavorare sulla consapevolezza degli stili di attaccamento e delle organizzazioni di significato personale, al fine di ampliare la consapevolezza di come l’individuo costruisce e narra il senso della propria esperienza interna e relazionale, per promuovere e favorire una maggiore flessibilità narrativa ed emotiva;
  • Le terapie basate su Mindfulness e Self-Compassion sono molto importanti per favorire una maggiore connessione interna, sviluppare la consapevolezza di sé e rafforzare le capacità di regolazione delle emozioni;
  • La Terapia Sensomotoria è molto utile per favorire l’integrazione corpo-mente, soprattutto nel trattamento dei traumi e delle difficoltà emotive. Attraverso la consapevolezza del corpo (ad es. postura, movimento, sensazioni somatiche…), permette di accedere alle memorie implicite, agli schemi profondi, per facilitare la regolazione delle emozioni e degli stati interni e favorire la elaborazione delle esperienze traumatiche;
  • L’Internal Family System, attraverso il lavoro sulle “parti interne”, permette di aumentare la consapevolezza di sé, modificare il rapporto con le proprie parti “difficili”, ripristinare l’integrazione ed il senso di coerenza interno, per sperimentare una maggiore capacità di agentività ed armonia interna.
  • Esercizi di regolazione fisiologica, importanti per per tonificare il sistema neurovegetativo affinché vi sia maggior equilibrio, e per sviluppare il sistema calmante.

 

CONCLUSIONE

La dipendenza affettiva è un fenomeno complesso che intreccia temperamento, storia di attaccamento, regolazione emotiva e fattori culturali e neurobiologici. ricordiamo che non è una condanna perchè, con un percorso terapeutico mirato, è possibile riorganizzare e trasformare il modo di vivere la  relazione, passando da legami di bisogno a relazioni basate su autonomia, sicurezza e reciprocità.

 

LETTURE CONSIGLIATE

  • Ainsworth, M. D. S., Blehar, M., Waters, E., & Wall, S. (1978). Patterns of Attachment. Routledge.
  • Cantelmi, T., Lambiase, E., Pensavalli, M. (2021). Schiavi d’amore. San Paolo.
  • Bowlby, J. (1989). Una base sicura. Cortina.
  • Crittenden, P. M., & Landini, A. (2011). Attaccamento in età adulta: Modello Dinamico-Maturativo. Raffaello Cortina.
  • Guidano, V. F. (1988). La complessità del Sé. Bollati Boringhieri.
  • Liotti, G., & Farina, B. (2011). Sviluppi traumatici. Cortina.
  • Mikulincer, M., & Shaver, P. R. (2016). Attachment in Adulthood. Guilford Press.
  • Neff, K., & Germer, C. (2019). The Mindful Self-Compassion Workbook. Guilford Press.
  • Kabat-Zinn, J. (2006). Vivere momento per momento. Mindfulness: un percorso di meditazione per ritrovare il sapore della vita. Corbaccio.
  • Segal, Z. V., Williams, J. M. G., & Teasdale, J. D. (2014). Mindfulness e cambiamento. MBCT: un nuovo approccio alla depressione. Bollati Boringhieri.
  • Germer, C. K. (2017). La mindfulness e l’accettazione nella pratica clinica. FrancoAngeli.
  • Neff, K. D., & Germer, C. K. (2020). Self-compassion. Il potere di essere gentili con se stessi. FrancoAngeli.
  • Norwood, R. (2004). Donne che amano troppo. Feltrinelli.
  • Piccirilli, G. (2017). Dipendenza affettiva. Come uscire dalla trappola dell’amore malato. FrancoAngeli.
  • Germer, C. K. (2010). The Mindful Path to Self-Compassion. Guilford Press. 

 

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